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Omelia Festività di San Biagio Venerdì 3 Febbraio 2017


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Venerdì 3 Febbraio 2017

Carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, autorità civili e militari, popolo tutto radunato nel nome di Dio-Trinità, ci ritroviamo per la festa del Patrono della Diocesi di Cassano allo Ionio, san Biagio martire. E’ un “giorno di memoria” in quanto al nostro Santo Patrono si riannoda la vita stessa di tutte le comunità cittadine del nostro territorio. La memoria si fa lode al Signore, “gloria e corona dei Santi” e la lode testimonianza della gioia, perché riscopriamo, come una grande famiglia, la bellezza dell’unità e della comunione fraterna.

La Parola di Dio appena proclamata presenta un “dittico” che potremmo definire “del Pastore buono e bello”: nella prima lettura, il Pastore è Dio in cerca dell’uomo, nel Vangelo è Gesù, il Pastore bello, che offre la vita per le pecore.

La “prima tavola del dittico” appartiene alla sezione forse più struggente del libro di Ezechiele, quella in cui il profeta consola il suo popolo durante e dopo l’assedio di Gerusalemme (capitoli 33-39). Attraverso il profeta, è Dio stesso, il Pastore Divino, a consolare il suo popolo, ad invitarlo a credere all’impossibile possibilità del suo amore incessante. L’opera del Divino Pastore è descritta in tre momenti: Egli cercherà le sue pecore e ne avrà cura; le radunerà da tutti i luoghi dove sono disperse per ricondurle nella terra della sua promessa; le farà pascolare sui monti d’Israele. Dio che cerca in modo appassionato l’uomo non può non commuoversi: è un “mendicante di amore” ed è consapevole anche quando sa di essere rifiutato. E’ un’immagine tenera quella del pastore che conduce le pecore ai pascoli della vita e le mette al sicuro nella sua casa. Il Dio pastore nutre le sue pecore come una madre e le porta al sicuro sui monti alti di Israele. Il simbolismo narrativo ci stupisce: i Padri della Chiesa vi si soffermano attingendo alla sapienza rabbinica. Nel linguaggio biblico “il monte” è il luogo della rivelazione in cui il “cuore di Dio” si apre al suo popolo: sul Sinai come sul Carmelo, sul Tabor come sul Calvario, Dio e l’uomo si incontrano, il cuore dell’Uno parla al cuore dell’altro, “cor ad cor loquitur”. I “monti d’Israele” sono le Divine Scritture, quelle che l’Eterno consegna al Suo popolo affinché le parole d’amore, pronunciate sui monti della rivelazione, siano sempre vive e attuali, parlino agli uomini dalla fede innamorata e strappino le lacrime dei cuori pentiti. Il Pastore Divino nutre il suo popolo con la Parola di vita, tocca i cuori, fascia le ferite, lo pasce con giustizia.

Nella “seconda tavola del dittico” Gesù, il Pastore bello, per amore e soltanto per amore, dà la sua vita per le pecore e le contagia di amore.

“Pastore bello e buono”: è il titolo più disarmato e più disarmante che Gesù attribuisce a se stesso con un’autodefinizione che non ha nulla di debole, remissivo, o di sdolcinato, anzi. Il Pastore combatte contro i lupi, non fugge, si frappone fra ciò che dà la vita e ciò che procura morte al suo gregge.

Tale raffigurazione del Pastore buono e bello è quella che Papa Francesco, con un magnifico ossimoro, definisce di “combattiva tenerezza” (EG 88).

Gesù marca la differenza tra l’”essere per gli altri” (il pastore) e “essere per se stessi” (il mercenario), tra il vivere per amare e il vivere per amarsi. La “philautia”, l’amore per se stessi, è la tentazione degli “amici di Gesù”, ed è sempre in agguato, carissimi confratelli nel sacerdozio, nella nostra quotidianità, sia personale che ecclesiale. Vogliamo servire il popolo di Dio o servirci di esso per affermare il prestigio personale, vogliamo essere chiesa che “offre la vita” oppure chiesa mercenaria, che cerca di affermare se stessa, mondanizzandosi, cedendo alla idolatria del potere e del successo ad ogni costo? Su questo “crinale” ci giochiamo credibilità ed autorevolezza.

Quale messaggio ricaviamo oggi per noi dal Santo Patrono?

San Biagio fu martire: versò il suo sangue in totale fedeltà a Cristo perché credette che “né morte né vita potranno mai separarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo”. La sua testimonianza esercita su di noi, ancora oggi, un fascino speciale. Come Vescovo di Sebaste, città dell’Armenia dove era nato, fu “Pastore Bello”. E’ ben noto quanto gli Armeni, che custodiscono la bellezza della sua santa biografia, lo abbiano imitato per rimanere cristiani. San Biagio fu anche taumaturgo, compiva segni terapeutici esercitando la carità verso i poveri e i malati. Medico dei corpi per professione, divenne medico “evangelizzatore” di coloro che incontrò. La tradizione attribuisce a San Biagio la protezione particolare per coloro che hanno mal di gola per il miracolo compiuto su un bambino che restituì sanato ai suoi cari. L’usanza del piccolo pane benedetto distribuito ai fedeli, nella sua festa,  richiama alla sua carità.

Tre, dunque, le indicazioni di San Biagio per noi: Cristo, fondamento della nostra vita; la carità come tensione verso gli altri, soprattutto i più vulnerabili; la testimonianza fino al martirio, come fedeltà totale al Signore. È la santità, misura della vocazione cristiana, il fine della vita.

Affidiamo all’intercessione di san Biagio il presente e il futuro dell’intera Diocesi, della città di Cassano, e di tutti i Comuni diocesani: che il Signore compia in noi la sua volontà come in San Biagio.

   Francesco Savino