Omelie

VI Domenica del Tempo Ordinario 11 Febbraio 2018


VI  DOMENICA  DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA]

11  Febbraio  2018

Il Vangelo è la bella notizia che il Regno di Dio c’è e si realizza “misteriosamente” nel tempo che trascorriamo.

In questa VI Domenica del T.O. la bella notizia è che Dio è la guarigione da ogni male: Dio salva.

La malattia della lebbra, nel contesto socio culturale di Gesù, era considerata ripugnante, infamante e disperata perché causata dal castigo di Dio per i peccati commessi. Il lebbroso era un morto vivente, era “come uno a cui suo padre ha sputato in faccia” (Nm 12, 14)” .

Il lebbroso di cui parla l’evangelista Marco somma in sé sia la sofferenza fisica che quella morale e spirituale: è allontanato dalla famiglia e da ogni relazione perché la sua presenza è portatrice di un possibile contagio che renderebbe impuro ogni contatto. E’ considerato peccatore per definizione, è vittima e colpevole insieme, perché così pensa la gente.

Ogni lebbroso, che viveva isolato, quando sentiva che qualcuno stava per avvicinarsi, doveva gridare la sua impurità per impedire il contagio (cfr. Lv 13, 45-46). La lebbra espropriava la persona della sua identità, infatti il lebbroso non era più una persona ma “l’immondo”.

Quel lebbroso gridò aiuto e Gesù ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». Per Gesù l’impurità e la sporcizia sono di chi rifiuta di sporcarsi le mani con gli altri. Egli tocca l’immondo, l’emarginato assoluto, rompe e supera il tabù sacrale e gli consente di ritornare ad essere  persona, togliendolo dall’ isolamento. La compassione di Gesù rifiuta l’indifferenza che tutti avevano nei confronti dei lebbrosi.

La guarigione di questo lebbroso ci riguarda e ci interpella.

“Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro… Non è la molteplicità umana che crea la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore, nel mio dolore in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro che non mi è indifferente. È la compassione… Soffrire non ha senso … ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la solo giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità… La compassione, il soffrire con l’altro, ha un senso etico. È la cosa che ha più senso nell’ordine del mondo” (E. Lévinas).

In Gesù si manifesta chiaramente che “Dio è guarigione”.

Il lebbroso guarito finalmente può rompere le barriere, i muri, che la società aveva innalzato. “La guarigione inizia quando so di poter contare su un «tu» che mi accoglie e vuole anche lui il mio bene. La guarigione, prima ancora di essere sparizione di sintomi, è ritrovamento di relazione, di preziosità agli occhi di un altro”. (L. Manicardi).

La guarigione compiuta da Gesù ha un prezzo molto alto: “Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti”. La notizia fu divulgata dal lebbroso stesso anche se Gesù lo aveva ammonito severamente di non dire niente a nessuno. Ora Gesù è impuro anche Lui, è l’Impuro perché ha fatto Sua la situazione del lebbroso. Egli è il “Servo sofferente” che prende su di sé la sofferenza dell’altro. “La miseria del lebbroso diviene, in modo rivelativo, la miseria del Crocifisso, disprezzato e reietto dagli uomini” (L. Manicardi).

L’esperienza cristiana è esperienza di vita bella e positiva perché offre a tutti la consapevolezza che Gesù, il Cristo, ci libera dalla lebbra del peccato, di cui siamo prigionieri, risanandoci e restituendoci a relazioni illuminate dalla Sua Presenza.

Buona Domenica.

   Francesco Savino