XXVI Domenica del Tempo Ordinario 1 Ottobre 2017

XXVI Domenica del Tempo Ordinario 1 Ottobre 2017
01-10-2017

 XXVI  DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO [SCARICA]

1 Ottobre 2017

La XXVI Domenica del Tempo liturgico Ordinario offre a tutti noi cristiani l’opportunità di pensare al pentimento: abbiamo ascoltato, infatti, dal libro del profeta Ezechiele, che l’uomo ingiusto può desistere dalla sua ingiustizia e agire con rettitudine. Anche il figlio, di cui parla il Vangelo di Matteo, si era rifiutato di andare a lavorare nella vigna del padre ma poi ci ripensa, si pente e va lavorarci.

Il pentimento è attestazione di libertà e di liberazione: di libertà perché anche chi sbaglia, chi è malvagio, può cambiare; di liberazione perché chi erra, cambiando condotta, “fa vivere se stesso” (Ez 17, 27), cioè dà vita alla sua esistenza, liberata da comportamenti sbagliati.

Le domande, con cui si introduce e conclude la parabola, “Che ve ne pare?” e “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” richiamano l’attenzione sui destinatari del discorso di Gesù. Egli si rivolge ai “capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo” (Mt 21, 23) e mira a suscitare in loro una risposta che per altro risulta scontata.

Un padre, che ha due figli, comanda al primo di andare a lavorare nella vigna; questi dice “non ne ho voglia”. Il comando del padre permane nel cuore del figlio e non rimane inerte, anzi suscita un cambiamento inaspettato: quel figlio raggiunge la consapevolezza di aver sbagliato, si pente e va a lavorare nella vigna. Egli passa dalla opposizione al pentimento che gli consente di accogliere la volontà del padre e di farla sua. Per questo ritorna sulla sua neghittosità e si rende conto che la chiamata di suo padre è un’opportunità di vita per lui. All’altro figlio succede che ascolta il comando del padre, lo accoglie formalmente, ma di fatto non va a lavorare nella vigna disattendendo quanto il padre desidera per lui.

Chi sbaglia, chi pecca, chi dice “no” a Dio, ha sempre la possibilità di pentirsi. Dinanzi a Dio, ciò che conta non è ciò che appare o ciò che diciamo palesemente ma ciò che noi siamo e facciamo. Dio non si ferma all’apparenza, riconosce l’ipocrisia che è doppiezza, contrapposizione marcata tra mente e cuore, parole e vita. Ai suoi contemporanei Gesù rivela spesso l’ipocrisia di coloro che “dicono e non fanno” (Mt 23, 3).

A tutti occorre un cuore unificato, non dimentico che Dio ha fiducia in ogni essere umano e nel suo possibile cambiamento. E il cambiamento cui tutti siamo costantemente richiamati è indicato da Gesù stesso: “Non chiunque dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei Cieli, ma Colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21); ed inoltre: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti…chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama…se uno mi ama, osserverà la mia Parola” (Gv 14, 15.21.23). Nella nostra esistenza non servono i “si” o i “no” dichiarati, ma la coerenza della fede che professiamo con le nostre scelte quotidiane, piccole o grandi che siano, personali o comunitarie.

Le parole di Gesù sembrano traboccare dalla parabola chiarendone a tutti il significato: i pubblicani, riconosciuti peccatori da tutti, e le prostitute, donne dichiarate peccatrici pubbliche, precederanno nel Regno di Dio farisei e scribi e perfino i discepoli stessi, perché i peccatori pubblicamente riconosciuti, a causa della vergogna del loro peccato manifesto e del giudizio di condanna sociale, sentono il bisogno di cambiare vita. Al contrario, molti credenti, con i loro peccati nascosti, non visti e non giudicati, sono anche considerati religiosi corretti da tutti, ma il loro vissuto è lontano dalla volontà di Dio.

“Noi cristiani abbiamo il privilegio di disporre di un metodo altro rispetto alla mondanità, per avvicinarci alla verità: il pentimento” (Christos Yannaras).

Auguro a tutti una Domenica in cui, davanti al Signore, siamo attraversati dal pentimento che ci permette di riconoscere l’incoerenza tra fede ed opere.                

   Francesco Savino

condividi su