Convegno etica e deontologia “Relazione di S.E. Mons. Francesco Savino

Convegno etica e deontologia

Cassano all’Jonio, 25 Novembre 2022

Teatro Comunale

 

Quando mi è stato chiesto di partecipare a questo convegno, la cosa che mi ha immediatamente incuriosito è stato il titolo scelto per l’incontro. Mi ha colpito perché estremamente sobrio nella sua eloquenza: Etica e deontologia. Non un sottotitolo, non una traccia argomentativa di indirizzo che potesse, in una qualche misura, orientare le relazioni, i pensieri e le cose da dire. L’ho apprezzato perché credo, ancor prima di iniziare la mia riflessione, che il presupposto di una restituzione autentica e sentita che riguardi l’etica, sia proprio il suo principio madre: la libertà. La libertà di non dover declinare l’etica e la deontologia secondo alcuni moderni paradigmi che potrebbero depotenziarne il senso e ridurle a delle condotte di vita e non ad un radicamento nella vita stessa. Per questa ragione mi è tornato utile iniziare dal principio e cioè dal significato di queste due parole che mi consente anche di delinearne le differenze e la complementarietà. Non a caso ho recuperato questo respiro di libertà perché per definire in una prima battuta l’etica mi sono avvalso del supporto delle parole di Vito Mancuso. Nel suo ultimo libro “Etica per giorni difficili” scrive: “L’etica infatti, ben prima di essere un comportamento che dobbiamo mettere in pratica, è qualcosa che ci custodisce, è la nostra dimora.” Siamo forse abituati a pensare all’etica come ad un qualcosa di astratto che solo trova senso nella sua traduzione etimologica, che rilegge l’etica con ethos, il costume, il comportamento e l’agire dell’uomo. Vito Mancuso, che è un uomo di pensiero, invece ci dice qualcosa di più, ci dice che l’etica è la nostra dimora. E lo è nella misura in cui ci rendiamo conto, perché ne facciamo quotidianamente esperienza, che la nostra società è immersa in problemi che noi stessi abbiamo creato, come per obbedire ad una legge di autolesionismo che ci dice solo che noi quella dimora, quell’etica lì, abbiamo smesso di abitarla. Abbiamo perso cioè quei criteri saggi con i quali ed attraverso i quali gestire le nostre competenze, i nostri talenti, le nostre potenzialità. E pur navigando senza fissa dimora, l’etica è viva perché è salvifica, è un’esigenza di salvezza. Il vero problema dell’etica oggi non è solo la constatazione di una sua assenza nell’agire dell’uomo che ma la mancanza di un radicamento nella coscienza. E qui entra in gioco l’ethos, il valore, che dovrebbe essere un valore ben più alto dell’io, che si orienti al bene, alla regola d’oro. Il valore diventa in questo caso, per parafrasare sempre Mancuso la percezione ( e quindi del sensibile, del tangibile) di qualcosa che si manifesta come più importante del proprio immediato e personale interesse e del proprio immediato e personale piacere. E questa percezione deve diventare un comando, una specie di obbligo, quella legge morale dentro di me che mi spinge a scorgere la luce delle stelle sopra di me. E allora, se è un comando, cosa ha a che fare con la libertà di cui in premessa? Con libertà di scelta. Sta a noi rispondere all’appello di questo sentimento etico, (o di non rispondere) a questo sentimento del buono, con serietà e responsabilità. Senza questa libertà che è anche responsabilità, siamo senza etica, senza dimora. La voce del sentimento etico è la voce dell’esperienza del bene che è la logica della vita, la logica de: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (Lc 6,31) . Ecco allora una mia modesta definizione di etica: etica è un politeismo di valori ( e ringrazio Max Weber per questa intuizione) ispirati dalla libertà ed in forza al bene. Mi sembra un buon compromesso tra quelle che proprio Weber ha indicato come l’etica dei valori e l’etica delle responsabilità che voglio comunque recuperare, come senso, rimanendo nel perimetro delle responsabilità che per il sociologo tedesco orientano le azioni umane, pur considerando però le conseguenze che tali azioni possono determinare. Se l’etica è dunque tutto questo, questo politeismo di valori che si orientano al bene, se è la nostra libera e necessaria e salvifica scelta, se è questo comando di bellezza a cui è opportuno obbedire, viene da sé che la sua applicazione necessita di ampio respiro. E quando la sua applicazione, necessaria, libera e salvifica, ricade nell’ambito dell’esercizio di una professione, essa si veste, non cambia d’abito, ma ne indossa uno “per le grandi occasioni”, diventa deontologia. La semantica ha un certo fascino prezioso: determina il senso di ogni parola con precisione. Ed il senso ed il significato di una parola trova riscontri nella sua etimologia in primis. Deon-ontos “ciò che è necessario fare” e logos, il discorso. Nel suo più famoso libro, quello che ha finito per farlo conoscere al grande pubblico, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milan Kundera scrive: “Nella vita tutto quello che scegliamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile”. E ricercando questa pesantezza arriva, durante lo scioglimento della trama, ad una bella risoluzione che, unita alla voce della vita, diventa un Es muss sein (un deve essere, un necessario), per cui la pesantezza (che non è la noia, non è la fatica, ma il senso pieno della ricerca, della coscienza), la necessità ed il valore diventano concetti intimamente legati: solo ciò che è necessario è pesante e solo ciò che pesa ha valore e ciò che ha valore, lo amiamo. “Pondus meum, amor meus[1],  il mio peso è il mio amore, che vuol dire che il peso specifico (e cioè il valore) di un uomo o di una donna è dato da quanto egli ama, perché è l’amore a dirigere le attività della nostra la mente, perché è l’amore la nostra necessaria salvezza.  In questa ottica di necessarietà la deontologia diventa la costola più pesante dell’etica ma anche quella con maggiore valore. A voi, commercialisti e professionisti in genere, è richiesto uno sforzo in più. Avete l’onore e l’onore di applicare l’etica e quindi la deontologia (per come le abbiamo esplicitate) all’impegno della professione. Questo impegno diventa la carta di identità del vostro percorso lavorativo e non è un caso che i contenuti del vostro codice deontologico citino, nell’Articolo 2, quei principi e doveri che il professionista deve osservare nell’esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività, dei clienti e dei terzi, della correttezza dei comportamenti nonché della qualità ed efficacia della prestazione professionale. Chissà quante volte avrete letto o sentito queste parole e chissà se mai vi è successo di fermarvi su una in particolare: affidamento. La chiave della ricerca di un’etica e di una deontologia parte proprio dalla comprensione dell’importanza dell’affidarsi, del darsi fiducia, del fare esperienza della gratuità intrinseca dell’esperienza edificante con l’altro. Vedete quante altre cose è l’etica? E allora come applicarla concretamente al lavoro avendo compreso quanto sia viva? Sicuramente rispondendo professionalmente ad un bisogno, dando risposte di senso che aumentino il benessere dell’altro, chiunque esso sia, a qualunque ceto sociale appartenga. Questo vuol dire che bisogna operare credendo nel valore di ciascuno e ciascuna, nella sua unicità per permettere all’altro di affermare la sua dignità non con un meccanismo di sottomissione ma con la tenerezza del bene donato e di quello ricevuto. In questo etica e deontologia hanno qualcosa di santo perché nel momento in cui pongono la questione dell’uomo al centro della prassi del loro agire, ne rispettano la situazione soggettiva, i bisogni di cui è portatore, esprimono contestualmente il principio di uguaglianza, il principio di responsabilità, di solidarietà e autodeterminazione.

Non sono qui per dirvi come esercitare al meglio la professione per cui avete speso anni ed anni di formazione ma solo per darvi qualche consiglio su come volgere il vostro sguardo sempre al bene. Fate in modo che il vostro percorso formativo non si esaurisca mai e con esso la vostra fame di umanità; che sempre vi colga quell’impeto di curiosità per cui vi spingiate a seguire “virtute e canoscenza”; sia la gentilezza e l’affezione il motore immobile del vostro lavoro; sia la cura dell’altro il principio primo del vostro ordine morale. Solo prodigandovi in questo modo per gli altri darete modo al desiderio di diventare in-tenzione, quel carburante che mette in moto la vita.

 

✠   Francesco Savino

Vescovo di Cassano all’Jonio

        Vicepresidente CEI

[1] Agostino, Confessioni

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25-11-2022
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