S.E. Mons. Francesco Savino incontra gli insegnanti di religione

In Calabria, insegnare è spesso una sfida che va oltre la didattica. Viviamo in territori dove, accanto alla bellezza paesaggistica e alle radici culturali profonde, persistono sacche di povertà educativa, disuguaglianze sociali, reti familiari fragili o assenti.

Molti giovani crescono in ambienti segnati da marginalità, dove la scuola non è solo un luogo di apprendimento ma spesso l’unico spazio di cura educativa e di relazione autentica. In questi contesti, l’insegnante diventa un punto di riferimento, un presidio di umanità, un segnale che la comunità non è totalmente abbandonata.

Proprio per questo, il vostro ruolo è ancora più prezioso: siete avamposti di speranza, soprattutto dove la speranza sembra soffocata dalla rassegnazione o dall’indifferenza.

Oggi l’insegnamento della religione cattolica non può fermarsi alla trasmissione di nozioni. È necessario andare oltre, accompagnare i ragazzi a scoprire che la fede parla alla loro vita concreta, ai loro dubbi, alle loro fatiche e ai loro sogni.

Vorrei offrirvi tre passaggi fondamentali, che possono diventare anche provocazioni per il vostro cammino educativo:

  1. Dal sapere al sapore

Non basta trasmettere nozioni, elenchi di date o definizioni dogmatiche. La fede, se rimane solo un sapere da memorizzare, rischia di diventare sterile, lontana dalla vita quotidiana. Oggi i nostri giovani hanno bisogno di ritrovare il sapore della fede, quella dimensione che coinvolge il cuore prima ancora che la mente.

Il sapore è ciò che rimane, ciò che si porta dietro, ciò che si desidera ritrovare. Quando un ragazzo avverte che la fede non è un insieme di regole ma una possibilità di pienezza e di libertà, allora nasce in lui una curiosità nuova, una tensione verso il bene, un desiderio di verità che trasforma.

Voi siete chiamati a educare al gusto della vita, a risvegliare stupore, a mostrare che il cristianesimo non è un peso ma una promessa. Se alla fine di un’ora di religione un giovane esce con una domanda in più, con un dubbio che lo spinge a cercare, con un’intuizione che lo fa riflettere, allora avete già piantato un seme prezioso.

  1. Dalla lezione alla relazione

Molti ragazzi, soprattutto nei contesti difficili della nostra Calabria, vivono una povertà relazionale profonda. Cercano adulti affidabili, capaci di ascoltare e di accompagnare senza giudicare.

L’ora di religione può diventare, se lo vogliamo, un luogo in cui la relazione precede la lezione. Un momento in cui ogni ragazzo si sente riconosciuto nella sua unicità, ascoltato nei suoi silenzi, accolto nelle sue fragilità.

Non siete solo docenti, siete coltivatori di incontri. È nella relazione viva che il messaggio evangelico prende forma, diventa carne, diventa esperienza.

Un’educazione che non passa per la relazione resta un esercizio sterile. Un giovane, prima di fidarsi di ciò che dite, si fida di ciò che siete. Il vostro sguardo, la vostra capacità di accoglienza, la vostra coerenza quotidiana valgono più di mille parole scritte sulla lavagna.

  1. Dal contenuto alla coscienza

Il rischio più grande, oggi, è quello di formare giovani bravi a ripetere risposte già preparate, ma incapaci di confrontarsi con la complessità della vita. L’insegnante di religione non è chiamato a formare “copie” obbedienti, ma coscienze libere e responsabili.

Educare alla coscienza significa aiutare i ragazzi a leggere la realtà, a discernere, a scegliere con consapevolezza e libertà. La religione cattolica, con la sua ricchezza di simboli, parabole, storie di santi e testimoni, offre strumenti formidabili per formare coscienze aperte al vero, al bene, al bello.

Non abbiate paura di toccare i temi più scomodi: la giustizia, la pace, la cura del creato, la dignità di ogni persona. Ogni contenuto diventa vivo solo se sa parlare alla coscienza.

Aiutate i giovani a interiorizzare, a far sedimentare, a confrontarsi. Una coscienza sveglia è la più grande eredità che possiamo lasciare a questa generazione.

Aiutate i giovani a interiorizzare:

Interiorizzare viene da interior, ciò che sta dentro. Significa portare dentro di sé, far scendere un’esperienza o un’idea nel cuore, dove diventa parte viva di noi. Non basta ascoltare o capire: bisogna lasciare che un messaggio abiti l’interiorità, diventi linfa vitale.

 

Aiutateli a far sedimentare:

Sedimentare viene dal latino sedimentum, ciò che si deposita sul fondo. Significa lasciare che ciò che ascoltano si decanti, riposi, maturi nel tempo. Non tutto deve essere subito chiaro o pronto: a volte la verità ha bisogno di silenzio, di pazienza, di attesa.

Aiutateli a confrontarsi:

Confrontarsi deriva da con- (insieme) e frontem (fronte). Indica il mettere la propria fronte accanto a quella dell’altro, guardarsi in faccia, accettare la sfida dell’incontro. Confrontarsi è misurarsi con con l’altro, con la realtà che spesso ci mette in crisi.

Una proposta concreta

Provate a far dialogare i contenuti della fede con i grandi temi che i ragazzi sentono vicini: la pace, l’ambiente, la legalità, le relazioni, il futuro. Così la religione diventa un orizzonte vivo, non un’ora “in più” nel calendario.

Per esempio, potete far rileggere loro in chiave contemporanea la parabola del buon samaritano: non un sacerdote, non un levita, ma un samaritano — un escluso, un negletto, potremmo dire oggi un “migrante” o un “scartato” — che si ferma, si fa prossimo e cura.

Oppure proponete la domanda biblica che attraversa i secoli: «Caino, dove è tuo fratello?» — una domanda scomoda, che interpella la coscienza e invita a sentirsi responsabili gli uni degli altri.

Così la religione diventa un orizzonte vivo, non un’ora “in più” nel calendario.

Una domanda-provocazione

Chiedete loro: “Che cosa ti fa alzare dal letto la mattina?” — è una domanda semplice ma disarmante, capace di far emergere sogni, paure, desideri.

 

08-07-2025
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