Eccellentissimo Magnifico Rettore, Venerabili membri del Corpo Accademico, cari studenti e studentesse, permettetemi di rivolgermi a voi come a cari fratelli e sorelle.
Prologo
In questo giorno di grazia, ricevo con profonda umiltà e riconoscenza ed onore, la laurea che mi conferite. Nel segno di tale onorificenza, desidero esprimervi la mia gratitudine, invitandovi a soffermarci insieme su un tema di cruciale importanza, un tema che deve suscitare riflessione in ciascuno e ciascuna di noi, e ancor più in coloro che, attraverso la dedizione e la fatica nello studio, scelgono di divenire custodi e promotori di una cultura che non è solo sapere, ma è anche impegno a farsi prossimo, a porsi al servizio dell’altro.
Per questo motivo vi parlerò dell’urgenza di ripensare ad un “Nuovo Umanesimo” e lo farò partendo dal considerarlo come un tempo in cui l’uomo che si riscopre figlio del Creatore, avverte il richiamo alla dignità ed alla responsabilità verso il creato e verso la propria interiorità. Del resto, l’Umanesimo fiorisce in un’epoca in cui l’uomo riscopre le sue origini divine e si riconcilia con la dignità del ruolo che il Padre gli ha affidato e non è un caso che, storicamente, si è trattato di un tempo ricco di fervore intellettuale, spirituale ed artistico, ma anche di un ritorno alla essenzialità ed alla profondità della considerazione del valore dell’uomo attraverso una ricerca incessante del bene e della verità.
Un eminente testimone di questo spirito, Pico della Mirandola nella sua celebre “Oratio de hominis dignitate”, ha tratteggiato una visione dell’uomo straordinariamente moderna: l’uomo è artifex, creatore e modellatore del proprio destino, chiamato a coltivare una libertà che non è arbitraria ma sempre illuminata dalla ragione. Una libertà, dunque, non fine a se stessa ma ereditata, come un dono che invita ciascuno ad una responsabilità ben più grande: elevare la propria anima in un cammino di piena realizzazione che si rivela solo nell’armonia con il Creatore ed il creato. In questa visione l’uomo non è un semplice spettatore del mondo, ma un attivista (diremmo oggi) in grado di trascendere i propri limiti e di abbracciare il mistero dell’esistenza. In questo senso, l’Umanesimo diventa quella spinta che non è solo elevazione per e con il sapere ma una costruzione culturale che riguarda la giustizia, la civiltà ed il bene comune.
Eppure oggi viviamo un tempo in cui si allunga sempre più l’ombra di un dis-umanesimo che diventa tangibile ed insidiosa mentre minaccia di soffocare quei principi che fondano e sostengono la nostra essenza di esseri umani.
Ecco cosa avverto oggi, sotto la pelle, come un rischio profondo: l’erosione del senso dell’altro, del riconoscimento della sua essenza, della sua unicità e di quella dignità che eleva il mio altro ad essere quell’interlocutore imprescindibile della mia esistenza. Questa imprescindibilità in pericolo deve invece ricordarci sempre che il volto dell’altro non è solo uno sguardo che ci interpella ma un appello di responsabilità che trascende le categorie dell’etica consueta. Il volto dell’altro è per dirla con Emmanuel Lévinas, quell’incontro in cui risiede un mistero, un confine sacro, quel volto ri-volto che ci restituisce la misura della nostra stessa umanità.
Proprio Lévinas ci avverte che il volto dell’altro è nello stesso tempo specchio e limite, quell’alterità che rivela ma definisce ciò che siamo. Davanti a questo specchio la nostra stessa identità si svela e completa e nel volto dell’altro cogliamo quella dimensione della vita che è oltre il nostro io, che ci ricorda il valore della cura, della compassione, della custodia reciproca.
È dunque l’altro il richiamo alla verità che supera l’individualismo, l’altro che non è solo il mio simile ma il custode di un segreto che riguarda la condizione di ogni essere umano; qualcuno che nella sua diversità ci invita ad oltrepassare i confini dell’egoismo, ad elevarci nel nome dell’Altro.
Senza il mio altro mi sfaldo, perdo la radice di umanità che attecchisce solo nella relazione. Gli uomini non si definiscono nella solitudine ma nel riconoscimento reciproco dell’essenziale, di quell’appello ad una umanità autentica e solidale.
Primo Tempo
Verso un “Nuovo Umanesimo”, l’orizzonte della Trascendenza
Come pensare allora ad un nuovo Umanesimo in un mondo che geme sotto il fragore delle bombe, in un tempo in cui l’umanità sembra aver smarrito il pianto per le sue vittime innocenti, cadute tra le pieghe dell’indifferenza? Come evocare la dignità dell’uomo quando ancora risuona il silenzio tragico di coloro che hanno perso la vita tra le acque furiose del “Mare Mostrum”, diventato ormai un “cimitero liquido”, senza lapidi, anime che portano con sé il volto dei poveri ed il grido dei fragili. Sono anche quelli dei volti, sfioriti senza un ultimo saluto, spezzati dalla violenza, traditi dall’abbandono, mentre il mondo continua le sue corse con l’intelligenza artificiale, con una sorta di “imperialismo tecnologico”, e non si volta mai.
Eppure, è proprio da questo silenzio sfigurato dalla dimenticanza che il “Nuovo Umanesimo” dovrà risorgere, perché ogni vita spenta nel buio e nella violenza dell’indifferenza invoca il richiamo ad una speranza più grande. Un umanesimo che ci chiede di rinnovare il cuore, di osservare l’altro nella sua vulnerabilità e bellezza, di ascoltare il lamento dei senza voce affinché non vi sia più un’esistenza cancellata e senza memoria o un dolore dimenticato. Dobbiamo ambire alla ricerca di quello che Jacques Maritain ha individuato come un “umanesimo integrale”, che unisce il visibile all’invisibile, l’umano ed il divino. Non limitiamoci dunque alla ricerca solo su un piano terreno ma, nel rispetto delle libertà di ciascuno e ciascuna, ricerchiamo una verità più alta, che si affidi al Mistero dell’Altro e del creato e qui trovi il suo compimento. Lottiamo per non sprofondare nella Tragedia dell’Umanesimo che è tragedia morale e spirituale, un umanesimo disumanizzante che ci rende schiavi nel coltivare una illimitata fiducia solo nella ragione umana, respingendo le profondità della nostra anima. Abbiamo perso il contatto con la sacralità ed abbiamo tradito noi stessi, abbiamo smesso di essere una realtà con e per gli altri e per questo è urgente rinnovare e ritrovare una vocazione all’alterità, coltivare un dialogo che non tema il mistero dell’altro ma lo accolga come l’unica via verso una conoscenza più profonda di sé e del mondo.
A questo punto lasciate che attinga la mia riflessione al tesoro delle parole immortali di sant’Agostino che, nel “De Civitate Dei”, ci svela il mistero della duplice appartenenza: l’uomo che pure abita questo mondo, è destinato ad un’altra città, una città celeste che è il punto di arrivo della peregrinazione terrena. Agostino ci suggerisce che l’uomo è come un viandante chiamato a percorrere le vie della storia senza smarrire il desiderio di una realtà che supera i confini del tempo e che trova compimento nell’eternità. L’uomo in questo peregrinare è sospeso tra il qui e ora e l’infinito, tra la temporalità delle sue esperienze quotidiane e l’eternità alla quale il cuore aspira. Questo per Agostino è ciò che orienta verso il bene supremo.
Un autentico “Nuovo Umanesimo” non può quindi confinarsi ad una visione chiusa e limitata all’immanenza; deve essere audace, avere il coraggio di aprirsi alla trascendenza e di trovare nel sacro la dimensione fondamentale della nostra umanità. Lasciatemi dire che, questa sacralità, benché io parli da Ministro della fede, non deve esaurirsi per tutti in Dio, né restringersi alla sola esperienza religiosa. Questa tensione verso il sacro non riguarda solo chi crede in Dio ma si rivolge anche a coloro che, pur non condividendo esperienze di fede, sono capaci di cogliere nell’amore per l’altro, nella giustizia, nella solidarietà, il riflesso di una verità più alta, una bellezza che richiama a Mistero e del mistero si alimenta. Per questa ragione un “autentico Umanesimo” non può appartenere solo a chi ha fede ma ad ogni uomo e ad ogni donna che, con il cuore aperto, si fa pellegrino della verità e custode di una dignità comune che riconosce che in ogni altro vi è qualcosa di sacro che va rispettato ed onorato. Ecco che, in questo orizzonte di senso, la sacralità segue un nuovo paradigma e diventa un ponte tra le diversità, un filo invisibile che eleva l’essere umano e gli ricorda che la sua vera natura non è rinchiusa nei confini del possesso o della produzione e dell’egoismo. In questa dimensione l’umanesimo ritrova il suo cuore pulsante: la consapevolezza che la ricerca di senso, di amore, di giustizia, è una via per accedere all’ultra-umano che si rivela nell’incontro e nella cura reciproca. E’ un mistero che si manifesta nella compassione, nell’amore che abbraccia ogni esistenza, credente o non credente, chiamandoci a scorgere sempre la bellezza dell’alterità. Ogni uomo ed ogni donna anela, nel profondo del suo cuore, ad un senso che va oltre e l’umanesimo che qui si propone è un invito a riconoscere l’essere umano come una creatura chiamata a superare i limiti della sola materialità, la cui aspirazione verso il senso e verso il bene non si arresta davanti alla finitezza delle cose visibili.
“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” (Inferno XXVI, v.119).
Anche il Sommo Poeta intende l’uomo come un’anima in cammino, un pellegrino che attraverso la lotta ed il dolore si spinge sempre oltre e così, questa nuova declinazione dell’Umanesimo impone che intelligenza e fede si intreccino ed ogni passo diventi un atto anche di ricerca che oltrepassi la sola ragione. Una ricerca che si faccia fame di conoscenza e di senso e che si opponga al nichilismo che oggi rappresenta la grande crisi della modernità. Una crisi che si manifesta come un malessere profondo, inducendo l’uomo a ripiegarsi e a chiudersi in se stesso. Eppure, è proprio da questa crisi nichilista che un “Nuovo Umanesimo” emerge come qualcosa di paradossalmente non solo possibile, ma indispensabile.
Secondo Tempo
La riaffermazione del Valore della Comunità
In un mondo lacerato dal nichilismo e dall’individualismo, la prima tappa verso un nuovo umanesimo risiede nella ricostruzione di legami autentici, capaci di alimentare un vero senso di comunità. Vivere insieme non può essere una semplice coabitazione, ma deve tornare ad avere valore: deve diventare un luogo di incontro, di ascolto e di relazioni sincere. Come ci invita a fare Papa Francesco, occorre “costruire una cultura dell’incontro, una cultura capace di riconoscere che siamo tutti membri di un’unica famiglia umana.” Questo impegno si pone alla base di un nuovo umanesimo che, nella solidarietà e nella compassione, trova la sua espressione più alta.
Accogliere l’altro, con le sue diversità e specificità, è essenziale. È il senso di quella sfida per cui il vivere insieme, rispettando le differenze, traccia la via maestra per il nostro tempo. La comunità non può essere ridotta a una folla anonima, ma deve farsi comunione di persone, un terreno fertile dove ogni identità è accolta come fonte di arricchimento.
Come afferma ancora Papa Francesco, “quando abbracciamo qualcuno con amore, guarisce il nostro cuore e il suo cuore” un’immagine potente di come il riconoscere e abbracciare l’altro possano risanare le ferite dell’anima e del corpo. E’ la fraternità, è l’amore che è più forte della morte.
Terzo Tempo
Il Ripristino della Dignità Umana come Fondamento di Civiltà
L’obiettivo essenziale è il riconoscimento del valore intrinseco di ogni persona, senza alcuna discriminazione o condizione, un valore che non può essere messo in discussione. La dignità umana, infatti, rappresenta il pilastro su cui si fonda un autentico nuovo umanesimo, eppure, nel nostro tempo, essa viene spesso oscurata da logiche economiche che riducono l’individuo a un semplice ingranaggio della produzione o a un consumatore passivo, depauperato della sua identità e del suo valore. Ce lo ha ricordato anche il nostro Presidente Sergio Mattarella, nel suo discorso durante il giuramento in Parlamento riunito in seduta comune: “Dignità è contrastare la povertà, la violenza, l’abbandono”. È, dunque, un principio che non può essere sacrificato per il profitto o l’utilitarismo, ma che deve rimanere inviolabile e orientare ogni politica e ogni intervento sociale.
La dignità umana non è solo un concetto astratto: è una chiamata che ci interpella come comunità e come individui, ricordandoci che ogni persona è portatrice di un valore assoluto, che va rispettato e tutelato. Per realizzare questa visione, è necessario un impegno concreto. Innanzitutto, attraverso legislazioni che proteggano i diritti fondamentali di ogni individuo, a prescindere dalla sua origine, dal suo status o dalla sua condizione sociale. È indispensabile promuovere politiche economiche che riducano le disuguaglianze, che creino opportunità per tutti e non lascino indietro i più vulnerabili. Inoltre, è cruciale fondare istituzioni educative che mettano al centro la persona, valorizzando non solo le competenze, ma anche le potenzialità umane e spirituali di ciascuno.
Così, il ripristino della dignità umana non sarà solo un traguardo ideale, ma una realtà vissuta, una civiltà fondata sull’inviolabilità dell’essere umano, su politiche giuste e su una solidarietà che si fa impegno comune per restituire a ciascuno la sua piena dignità.
Quarto Tempo
Coltivare la Speranza e la Resilienza nelle Nuove Generazioni
L’obiettivo è trasmettere alle giovani generazioni un senso profondo di speranza e una forza interiore capace di sostenerle nelle sfide della vita, perché ogni giovane abbia gli strumenti per affrontare le avversità e i momenti di crisi come parte naturale del proprio percorso. Il nichilismo contemporaneo ha spesso svuotato di significato l’esperienza umana, lasciando molti giovani con la sensazione di trovarsi di fronte a un vuoto incolmabile. Educare alla speranza significa, allora, insegnare a riscoprire la vita come un cammino, dove ogni passo, compresi quelli che ci fanno cadere, porta con sé un significato. È un dovere guidarli a comprendere che le sconfitte sono inevitabili, ma non sono mai definitive: possono diventare le basi su cui costruire una resilienza autentica e duratura.
Rosaria Gasparro, nel suo Elogio della sconfitta, ci ricorda che la vera forza risiede nel saper rialzarsi. Questa frase incarna una saggezza essenziale: il coraggio di rialzarsi, di riprendere il cammino dopo una caduta, non è una debolezza, ma un segno di grandezza. Un nuovo umanesimo deve insegnare ai giovani che il fallimento non è un segno di fragilità, ma un’esperienza che arricchisce e fortifica, che insegna a riconoscere la sofferenza come un passaggio verso una crescita più profonda. La resilienza, quindi, non è solo la capacità di sopportare il dolore, ma anche di trasformarlo in una forza nuova, in una comprensione più ampia e profonda di sé e del mondo.
Per raggiungere questo obiettivo, è necessario inserire nei programmi scolastici percorsi di educazione emotiva che permettano ai giovani di esplorare e comprendere i propri sentimenti e le proprie esperienze. Tali percorsi possono aiutare a sviluppare una consapevolezza interiore che li renderà più forti di fronte alle difficoltà. Anche il coinvolgimento giovanile in attività di volontariato può rivelarsi un’esperienza formativa inestimabile, offrendo ai ragazzi un contesto di responsabilità condivisa e di impegno comunitario che arricchisce il loro senso di appartenenza e li incoraggia a superare l’individualismo.
Inoltre, è fondamentale rendere accessibile il sostegno psicologico a tutti, in modo che ogni giovane possa trovare un luogo sicuro dove esprimere le proprie fragilità e costruire le proprie risorse interiori. Così, un nuovo umanesimo della speranza e della resilienza può prendere forma, trasmettendo alle nuove generazioni la certezza che la vita, con le sue gioie e le sue sofferenze, è un viaggio che merita di essere percorso con fiducia, sapendo che, in ogni caduta, vi è già la possibilità di un riscatto.
Quinto Tempo
La Riqualificazione della Giustizia Sociale come Atto di Carità Universale
Il traguardo di una società autenticamente giusta è promuovere una visione della giustizia che non si limiti alla semplice applicazione della legge, ma che si elevi alla dimensione della carità, abbracciando il senso più profondo del servizio verso l’altro. La giustizia è la misura minima della carità: una società che si fermi alla giustizia giuridica, senza rispondere alla chiamata dell’amore per il prossimo, manca il suo fine più alto. La giustizia sociale non è solo il bilanciamento delle risorse e l’equità delle opportunità, ma un gesto concreto di amore, un atto che riconosce e tutela la dignità di ogni persona, specialmente dei più vulnerabili.
Una giustizia che si fa carità è una giustizia che sa farsi prossimità, che non resta indifferente di fronte alle sofferenze altrui, ma si accosta, condivide e sostiene. Questo significa rispondere alle necessità dei più fragili, riconoscere le ferite dell’altro e impegnarsi a sanarle con compassione e dedizione, consapevoli che ogni gesto di giustizia è, al tempo stesso, un atto di amore.
Per realizzare questa visione di giustizia sociale come carità, è necessario sviluppare sistemi di welfare inclusivi, che garantiscano a ciascun individuo la possibilità di vivere con dignità. Riforme che assicurino l’equità di accesso all’istruzione e al lavoro, ponendo fine alle disuguaglianze e offrendo opportunità a tutti, devono diventare una priorità. Inoltre, è fondamentale promuovere la cooperazione internazionale, in uno spirito di solidarietà, affinché i Paesi più forti sostengano quelli più vulnerabili, e la giustizia sociale si estenda al di là delle frontiere, divenendo testimonianza di una fraternità universale.
In questo modo, la giustizia sociale non sarà più una mera regolazione dei diritti e dei doveri, ma un cammino di carità, una risposta concreta all’invito evangelico ad amare il prossimo come se stessi, per costruire una civiltà che sappia incarnare il vero volto della giustizia: quello di una comunità che si prende cura di tutti, rendendo tangibile la dignità umana come valore sacro e inviolabile.
Sesto Tempo
La Sacralità della Persona come Fondamento dell’Umanesimo della Carità
L’obiettivo essenziale di un “Nuovo Umanesimo” è radicare ogni relazione umana nella carità, che diventa fondamento di servizio e dono reciproco. In questo rinnovato orizzonte, la carità non è soltanto un gesto ma il principio architettonico della convivenza. La carità, allora, deve orientare un umanesimo che riconosca nell’altro non un mezzo, ma un fine; ogni persona è degna di attenzione, di rispetto, di amore.
L’essenza di questa vocazione è ben rappresentata dal richiamo paolino “Caritas Christi urget nos” (è il mio motto episcopale), un amore che ci sospinge, ci abbraccia, in ogni azione e che plasma il nostro essere insieme. Solo un umanesimo che si fonda sulla carità può considerare la comunità come un luogo dove ogni persona è accolta nella sua unicità e la solidarietà diventa il collante del vivere comune.
Per rendere questa visione realtà, è necessario sostenere e valorizzare il lavoro degli operatori sociali e dei volontari che incarnano ogni giorno la carità; promuovere progetti di solidarietà e di accoglienza rivolti alle categorie più deboli, diffondendo una cultura della responsabilità reciproca, affinché ogni gesto di bene sia un segno tangibile della sacralità della persona.
Settimo Tempo
La Celebrazione della Diversità come Armonia dell’Umanità
Un “Nuovo Umanesimo” riconosce nella diversità il principio essenziale della ricchezza umana e dell’armonia sociale, considerandola non come separazione o minaccia, ma come fonte di stupore e arricchimento. La diversità è come un campo di grano, in cui ogni singola spiga, pur distinta, contribuisce alla bellezza e all’abbondanza dell’intero. Nelle parole di Pier Paolo Pasolini, “La diversità mi fece stupendo”, troviamo una profonda verità: l’unicità di ciascuno, lungi dall’essere un ostacolo, aggiunge valore e profondità al mosaico dell’umanità.
In questo orizzonte, il “Nuovo Umanesimo” si radica nel rispetto delle differenze culturali, religiose, etniche, riconoscendo che la vera armonia risiede nella valorizzazione di ogni identità e tradizione. La diversità, dunque, diventa espressione di una bellezza che si rivela solo nell’incontro con l’altro, un incontro che non appiattisce, ma che esalta la peculiarità di ciascuno.
Per promuovere questa visione, occorre sostenere programmi di inclusione culturale nelle scuole, creare spazi per il dialogo interreligioso e interculturale, e celebrare le tradizioni locali e le identità particolari, affinché ogni comunità possa trovare nella sua unicità un contributo alla costruzione di un mondo più unito e solidale.
Ottavo Tempo
La Speranza come Cuore della Dignità Umana
La speranza è il filo conduttore che accompagna ogni vita e che sostiene la dignità stessa dell’esistenza. Essa è il motore silenzioso che, dalla nascita alla morte, ci orienta verso il domani, dando senso al presente. Senza speranza, l’essere umano rischia di perdersi nell’angoscia, nella solitudine e nel vuoto. Antoine de Saint-Exupéry ci suggerisce, attraverso l’incontro tra il Piccolo Principe e la volpe, che anche il dolore del distacco può essere alleviato dalla speranza, come il ricordo “del colore del grano” consola chi è in attesa. La speranza, infatti, è come quel campo di grano dorato: una promessa di fecondità e rinnovamento continuo, il fondamento di un umanesimo che cresce e si rigenera.
Un “Nuovo Umanesimo” che riscopre la speranza pone la dignità umana al centro della vita sociale e individuale, riconoscendo che la vera forza non è l’assenza di difficoltà, ma la capacità di affrontarle con coraggio e fiducia. Come il grano nutre la terra e la rende fertile, così la speranza nutre l’animo umano, ricordandogli che ogni sfida può essere superata e che ogni sofferenza può essere redenta.
Per far sì che la speranza diventi tangibile, è necessario sostenere iniziative di sviluppo comunitario che offrano opportunità reali di crescita; creare percorsi di formazione e sostegno per i giovani, affinché trovino una prospettiva di futuro e il coraggio di costruire la propria strada; diffondere una cultura di gratitudine e rispetto per la vita, riconoscendo che ogni esistenza, anche la più fragile, è portatrice di dignità e di speranza per l’umanità intera.
Epilogo
Magnifico Rettore, Illustrissimi Professori, Cari Studenti, Fratelli e Sorelle tutti,
al termine di questo cammino intellettuale e spirituale intorno all’Umanesimo, ci appare chiara una verità fondamentale: siamo chiamati, oggi più che mai, a una rivoluzione del cuore. Un “Nuovo Umanesimo” non è un’idea astratta, ma una necessità intrinseca alla nostra condizione umana, una richiesta impellente che esige una risposta audace e generosa. La carità, in questo orizzonte, non è un semplice sentimento o gesto isolato, ma l’architrave su cui deve poggiare un ordine sociale rinnovato, il fondamento stesso di una civiltà autenticamente umana. Essa diviene l’anima di un umanesimo che, pur aperto alle sfide della modernità, resta fedele alla dignità inviolabile e al valore intrinseco di ogni persona.
Il nostro tempo, segnato dal disincanto e dal senso di vuoto, ci offre l’opportunità di rigenerare le nostre comunità sulla base della compassione e della giustizia. Solo in questa direzione, infatti, l’uomo potrà riscoprire se stesso, potrà ritrovare in se stesso e negli altri un volto da contemplare e da amare. La comunità torna a essere, in questa prospettiva, il luogo dell’incontro autentico, dell’accoglienza e della cura, uno spazio in cui ogni diversità arricchisce la bellezza del tutto. È qui, nel tessuto relazionale della comunità, che l’uomo riscopre il proprio valore e trova il senso della propria esistenza; è nella relazione con l’altro che si cela la chiave per un’esistenza piena e realizzata.
Oggi più che mai il nichilismo ci avvolge e ci attanaglia, espressione di una malattia dell’anima che si alimenta dell’isolamento e della diffidenza. È un vuoto spirituale che ha eroso le fondamenta delle nostre società, minando la fede e la speranza in ciò che è buono, vero e giusto. Ma ogni crisi reca in sé una domanda essenziale: sapremo rispondere? Avremo la forza di riconoscere la sofferenza dell’altro, di abbracciarne le fragilità e accompagnarlo nella ricerca di senso? Saremmo capaci di riportare la speranza al centro della vita comunitaria e ridare alla nostra società il cuore e lo spirito perduti?
In questa tensione tra smarrimento e rinascita risiede l’urgenza di un “Nuovo Umanesimo”. Un umanesimo che, lontano dal rifuggire il dolore, lo accoglie e lo trasforma in fonte di saggezza e di crescita interiore. Un umanesimo che non teme la diversità, ma la celebra come il dono più prezioso, come il segno della molteplicità e della bellezza dell’umanità intera. Questo è il cammino che siamo chiamati a intraprendere: un cammino di fedeltà alla verità, alla giustizia, alla bellezza.
Come un seme di grano che, cadendo a terra, muore per dare vita a una spiga rigogliosa, così il nostro agire, fondato sulla carità, può diventare seme di una società più giusta e fraterna. Non dimentichiamo l’immagine di Antoine de Saint-Exupéry, che ci parla della volpe e del Piccolo Principe: nel momento dell’addio, il colore del grano diventa per la volpe simbolo di memoria condivisa e di speranza. Che questo nuovo umanesimo, fondato sulla carità e alimentato dalla speranza, possa colorare il nostro vivere quotidiano, illuminando le vie della giustizia e della pace.
In questo spirito di speranza e di impegno, non posso fare a meno di esprimere la mia più profonda gratitudine per la grande onorificenza che oggi mi viene conferita. Questa laurea honoris causa, che accolgo con umiltà e riconoscenza, è un invito a servire la comunità umana con rinnovato vigore. Che il nostro lavoro e il nostro servizio siano sempre guidati dalla volontà di costruire, passo dopo passo, una casa comune in cui ogni persona sia accolta e amata per ciò che è, e non per ciò che possiede.
Grato a questa venerabile istituzione, rinnovo il mio impegno a testimoniare, con fede e umiltà, i valori di un umanesimo rinnovato nella carità, affinché ogni incontro, ogni gesto, ogni parola diventino semi di fraternità universale.
Capaccio, 12 Ottobre 2024
+ Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio
Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana