Fratelli e sorelle, la pace sia con voi!
Questo saluto liturgico, uno dei più antichi saluti cristiani, ci porta subito al cuore del dono del Natale. Pace in terra agli uomini e alle donne che Dio ama! Agli anziani e ai bambini. A coloro la cui vita è esposta al pericolo e alla barbarie: pace!
La nascita del Messia è la fine del mondo in cui Caino uccide Abele, il mondo in cui abitiamo ancora. Esso inquina i nostri pensieri e rende divisive e sterili molte nostre azioni. È sorto un giorno nuovo. «Oggi è nato per noi il Salvatore». La pace del Messia è un dono che passa per l’interiorità, ma che non resta chiuso nel cuore. Questo Figlio viene ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi. La sua pace genera questi cambiamenti visibili, riguarda la nostra convivenza conflittuale e anche un nuovo rapporto con la terra. La nascita di Gesù, insomma, avvia un giubileo e un giubilo senza più fine: è riposo della terra e di un’umanità ferita. È riposo e ripartenza.
Possiamo dunque interpretare così l’apertura della porta santa, da parte del Papa, in questa notte di Natale. La Nascita di Gesù è una porta aperta per sempre. Attraversiamo la porta che è Cristo in un mondo in guerra: ci lasceremo allora la morte alle spalle. Ascoltiamo la buona notizia mentre attorno a noi la politica e la stampa normalizzano i linguaggi di guerra, scelgono più investimenti in armi e li tolgono all’educazione, alla salute, al ripianamento di debiti economici, ecologici e culturali che stanno rendendo i poveri sempre più poveri.
Fratelli e sorelle. Dio ha scelto da che parte stare. Abbiamo riascoltato l’inequivocabile racconto di Natale, che nella logica dell’evangelista è come un’overture nella grande sinfonia che si compirà sulla croce. La via scelta è una. Ed è di una impressionante coerenza. La nascita di Gesù ci mostra la scelta di Dio – la sua opzione preferenziale per i poveri – e ci chiama a modificare insieme al Messia questa storia di cui siamo intessuti e contemporaneamente costruttori. Dobbiamo prendere posizione. Questa notte Dio ha voltato pagina e noi possiamo scrivere con lui una storia nuova.
Come vorrei, sorelle e fratelli miei, che non sciupassimo la parola ‘speranza’. La sentiremo pronunciare molte, forse troppe volte, essendo quello che inizia un giubileo che ci vuole ‘pellegrini di speranza’. Ma non svuotiamo le parole dalla loro interna potenza, della loro forza gentile. Sperare molte volte non ci viene: non ci viene proprio. È una virtù teologale, ci insegnavano un tempo. Virtus è forza, quella che nessuno si dà da solo. Si allena, certo, ma viene da Dio. Teologale, come la carità e la fede, meraviglie della grazia in noi, virtù dalle maniche rimboccate e dallo sguardo penetrante. Bucare l’orizzonte, svegliare l’aurora. Questa è la notte della speranza: notte in cui il buio è vinto, perché fuorilegge come i pastori, inadatti come i pastori, profani come i pastori, la luce ci avvolge mentre il buio, tutto attorno, sembra invincibile.
Muoviamoci, fratelli e sorelle. Andiamo a riferire ciò che di questo Bambino ci è stato detto. Lo comprenderemo meglio anche noi. E la speranza diventerà di popolo, anche oggi. Anche qui.
Buon Natale!
✠ Francesco Savino