TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (anno B)
Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2Pt 1,16-19; Mc 9,2-10
Ordinazione Sacerdotale del diacono GIOVANNI LATTUCA
Venerdì 6 Agosto 2021
TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (anno B)
Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2Pt 1,16-19; Mc 9,2-10
Ordinazione Sacerdotale del diacono GIOVANNI LATTUCA
Venerdì 6 Agosto 2021
Celebriamo oggi, 6 Agosto, la Festa della Trasfigurazione, una festa poco conosciuta, una festa nella quale siamo chiamati a contemplare il volto del “Figlio dell’Uomo” radioso di una luce destinata all’umanità intera, una luce di vita e di comunione.
La Trasfigurazione è possibile anche per noi, infatti è l’evento straordinario raccontato dal punto di vista dei tre Apostoli che hanno visto e provato emozioni. La Trasfigurazione di Gesù ci conduce ad un cammino interiore per godere la bellezza della Luce che è Vita. Essere uomini e donne destinatari della Trasfigurazione significa essere capaci, come sostiene Enzo Bianchi, di “mutare lo sguardo per vedere l’invisibile nel volto umano e lì vedere Dio”.
Entriamo nella comprensione della Trasfigurazione partendo proprio dal contesto in cui è inserito l’evento, evento storico, non un mito.
Gesù ha fatto per la prima volta l’annuncio della sua passione, morte e resurrezione generando l’incomprensione soprattutto da parte di Pietro. E invece, chi vuole vivere la sequela di Gesù non può evitare la croce, non può rifiutarla come scandalo e vergogna. Per questo “Sei giorni dopo”, Gesù con pazienza e infinita fiducia “prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli”.
I monti nella Bibbia sono i luoghi in cui Dio si manifesta particolarmente, “sono un indice puntato verso le profondità del cosmo, sono dimora di Dio, come sperimentano Mosè ed Elia, ma offrono anche la possibilità di uno sguardo nuovo sul mondo colto da una nuova angolatura, osservato dall’alto, da un punto di vista inedito, il punto di vista di Dio, dalla perpendicolare del cielo” (Ermes Ronchi).
L’evangelista Marco annota: “Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”. Ciò che avviene su quel monte è indicibile, ineffabile, non si può descrivere. Marco, come Matteo e Luca, pur con differenze di stile, fanno fatica a narrare la Trasfigurazione di Gesù, ma proprio le difficoltà narrative testimoniano la bellezza indicibile dell’evento.
“Il bianco è la luce, è il colore del mondo celeste (cfr. Dn 7,9), del cielo aperto, e niente sulla terra gli si avvicina. Anche gli angeli della resurrezione (cfr. Mc 16,5 e par.; Gv 20,12) e quelli dell’ascensione al cielo, secondo l’iconografia tradizionale, sono vestiti di bianco. Insomma, luminosità straordinaria! Gesù appare dunque trasfigurato, e dal suo corpo emana luce, come la emanava il volto di Mosè (cfr. Es 34,29-35), come la emana il Figlio dell’uomo nelle visioni apocalittiche di Giovanni (cfr. Ap 1,12-16). Accanto a Gesù “apparve Elia con Mosè, e conversavano con Gesù”: la Profezia e la Legge, delle quali Gesù è interprete e compimento” (Enzo Bianchi).
Pietro, coinvolto dall’evento, parla in modo inadeguato, balbetta, non sa che cosa dire, se non che sarebbe necessario arrestare quell’evento, renderlo definitivo: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli vorrebbe eternizzare quell’esperienza per non vivere il passaggio dalla croce. Ma non è possibile, infatti “venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»”.
“Se al battesimo la voce del Padre era risuonata solo per Gesù (cfr. Mc 1,11), qui invece la rivelazione è anche per i tre discepoli. E l’invito è quello decisivo per ogni discepolo di Gesù, di ogni tempo: occorre ascoltare lui, il Figlio, che è il Kýrios, il Signore! Ascoltare lui, non le proprie paure, non i propri desideri, non le proprie immagini e proiezioni su Dio. Sì, anche per vedere e ascoltare Dio (“Shema‘…”: Dt 6,4) ormai occorre vedere e ascoltare Gesù” (Enzo Bianchi).
“E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro”. Si riprende il cammino: Gesù con i discepoli, per andare verso Gerusalemme, verso la morte.
Come Pietro e i suoi due compagni, anche noi, che viviamo le nostre contraddizioni, sperimentiamo il “non-senso”, soprattutto di fronte agli eventi dolorosi, abbiamo bisogno di Luce. L’esperienza della Trasfigurazione è risposta di bellezza a tutte le nostre paure, alla incapacità di vivere la vita soprattutto nelle sue espressioni più difficili, ed è anticipazione della Resurrezione, che è il fine per cui siamo stati “gettati” nel mondo. La nostra esistenza non è un lento processo di sfiguramento di noi stessi ma è un interminabile processo di metamorfosi, di cambiamento di forma, come il bruco che non conosce la morte ma il miracolo del volo per essere trasformato in farfalla.
Certamente la vita è tutto un cammino di trasfigurazione, e tu, caro Giovanni, che oggi all’età di sessantasei anni diventi presbitero, comprendi bene il senso della metamorfosi della tua esistenza. La tua è una storia vocazionale caratterizzata da passaggi molto importanti: ne richiamo qualcuno: nasci ad Agrigento nel 1954, risiedi ora a Montegiordano, vedovo con due figlie, Marialucia e Teresa, sposata con Alberto, e hai due nipoti. Dalla tua famiglia di origine fino ad oggi, sei stato inondato da un fiume di grazia. Il matrimonio è stata la tua vocazione fino a quando il Signore ha voluto. Il 22/04/1982 hai sposato Rita Carmela Nigro, deceduta per un tumore al pancreas nel giugno 2013 a soli 54 anni. Hai lavorato per ben trentotto anni nelle Ferrovie dello Stato, ricoprendo anche ruoli di grande responsabilità. Dopo la morte di tua moglie, sei stato accompagnato in un discernimento sempre più approfondito per comprendere il senso di tutto ciò che ti era accaduto. Già nel 2008, con il consenso di tua moglie Rita, avevi iniziato il corso di ammissione al diaconato permanente concluso il 29/06/2018. In questi anni hai sentito forte il richiamo al presbiterato che oggi raggiungi. Tutto quello che è accaduto nella tua vita è “Provvidenza”. Entri oggi nella famiglia dei presbiteri. La chiamata al presbiterato, infatti, non è mai autoreferenziale, individualista, ma è chiamata alla comunione, alla corresponsabilità. Ti esorto a vivere con gioia la triplice fedeltà a Cristo e alla Chiesa, al presbiterio e alla tua famiglia. Rimani sempre nell’amore di Cristo ricordando ciò che affermava sant’Agostino: “l’amare senza misura è la misura dell’amore”. Vivi il tuo ministero come compito, cioè come compimento della vita e del suo senso ultimo. Il compito del presbitero non può ridursi a delle mansioni ma è avere la statura di Cristo, incarnare la Parola per essere sale, luce, lievito, pietra viva. Desidera profondamente l’unificazione con Cristo. Questa è la trasfigurazione a cui un presbitero è chiamato ogni giorno.
Il Santo Curato d’Ars, di cui abbiamo fatto memoria liturgica qualche giorno fa, diceva: “il Sacerdote è l’uomo che non dice più “io sono”, “io faccio”, “io conto”, ma Dio esiste e agisce nella mia vita, perché senza la sua grazia io sono nulla”.
Auguri Giovanni, presbitero in Cristo, per Cristo e con Cristo, con i confratelli della chiesa locale!
✠ Francesco Savino