Ml 3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

Presentazione del Signore

XXIX Giornata Mondiale della Vita Consacrata

02-02-2025

Sono passati quaranta giorni dal Natale e la Chiesa interrompe il Tempo Ordinario per celebrare ancora una “manifestazione” della “Incarnazione”, che, secondo il Vangelo di Luca, avviene nel quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù: la presentazione del Figlio primogenito al Tempio e la sua offerta al Signore secondo la Legge.

Questa festa, che oggi celebriamo, si colloca a metà cammino tra il Natale e la Pasqua, quasi a voler congiungere i due eventi in un unico mistero di obbedienza e di offerta.

Essa, sin dall’antichità, è chiamata con tre nomi diversi ed evocativi.

Nel linguaggio corrente dell’Occidente è chiamata “festa della Presentazione del Signore”.

In Oriente “festa dell’Hypapanthé”, cioè festa dell’incontro.

Dalla tradizione popolare, semplicemente, “Candelora”.

Entriamo in dialogo profondo con il Vangelo che significativamente ci aiuta a comprendere il senso della festa.

La legge di Mosè prescriveva che quaranta giorni dopo la nascita del primo figlio, i genitori si recassero al Tempio di Gerusalemme per offrire il loro primogenito al Signore e per la purificazione rituale della madre.

Anche i genitori di Gesù si assoggettarono a questa prescrizione.

È da notare che non fu un rito come tutte le altre volte. Le altre volte erano gli uomini che presentavano il loro figlio a Dio, segno di offerta e di appartenenza. Questa volta è Dio che presenta Suo Figlio agli uomini per bocca di due testimoni, il vecchio Simeone e la profetessa Anna, vecchia pure lei.

Ermes Ronchi, commentando questo testo, fa notare: “Maria e Giuseppe portarono Gesù al Tempio per presentarlo al Signore, ma non fanno nemmeno in tempo ad entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna se lo contendono. Gesù non appartiene al Tempio, egli appartiene all’uomo. È nostro, di tutti gli uomini e le donne assetati di infinito, di quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; di quelli che sanno vedere oltre come Anna e incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro. Dio non è accolto dai sacerdoti, ma da un anziano e da un’anziana senza ruolo, due innamorati di Dio, che hanno occhi velati dalla vecchiaia, ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che accoglie fra le braccia l’eterna giovinezza di Dio”. In ricordo di questo fatto, narrato dal vangelo di Luca, sorse ben presto in Oriente una festa chiamata Hypapanthé cioè “festa dell’incontro”. Incontro di Dio e del suo popolo nel Figlio unigenito fattosi uomo. Nel secolo sesto questa festa si estese all’Occidente e qui si arricchì di una processione penitenziale ed ebbe uno sviluppo originale: il rito della benedizione delle candele, per cui la festa prese il nome popolare di Candelora. Con ciò si voleva e si vuole esprimere con un segno visibile e concreto la fede in Cristo “luce delle genti”. Le candele, portate a casa, un tempo servivano tra l’altro a rischiarare l’agonia di coloro che passavano da questo mondo al Padre.

In quell’incontro con Gesù Simeone, l’uomo dell’attesa (“le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese” S.Weil), disse a Maria parole così significative che sono importanti anche per noi oggi: “Ecco, Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione”.

E prima, nella sua preghiera di benedizione a Dio, Simeone aveva definito il bambino Gesù come “Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”.

Queste parole costituiscono il significato più profondo e vero della festa di oggi, il dono di Gesù, il Figlio di Dio per noi, e il nostro impegno nel mondo, nella storia.

Gesù è colui che fa cadere i nostri piccoli o grandi idoli, che rovina il nostro mondo di maschere e di bugie, di doppiezze e di falsità. Gesù è “contraddizione” nel senso che contraddice le nostre mediocrità e tutte le nostre false proiezioni su Dio, sull’uomo e su noi stessi. Gesù è “resurrezione”, che fa rifiorire anche i deserti, che fa ripartire tutto ciò che è statico, fermo, che mette in movimento tutto ciò che per le ragioni più diverse è bloccato. Gesù è “luce” del mondo. È vita! È vita per gli uomini, per il creato, per tutto ciò che sembra inesorabilmente gettato nelle tenebre. Abbiamo tutti bisogno di luce!

Il grande pensatore greco, Platone, diceva: «La vera tragedia della vita (non è aver paura del buio) è quando un uomo ha paura della luce». La paura della luce è sottrarsi allo sfolgorare della verità perché essa costringerebbe a mutare una mentalità stancamente ereditata. Si preferisce talvolta chiudere gli occhi, come confessò Kafka nei confronti di Cristo: «Gesù è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi!».

Se Gesù è luce del mondo, è vita per gli uomini, noi tutti, nessuno escluso, siamo chiamati a riverberare questa luce per la vita di tutti. Magari fossimo consapevoli di questa chiamata, missione: essere riflesso della luce di Cristo nel mondo.

Il 2 Febbraio non è soltanto la festa liturgica della Presentazione del Signore. È anche la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, istituita da Giovanni Paolo II nel 1997.

Anche quest’anno ho scritto una lettera-riflessione dal titolo: “È ora di riprendere il ruolo profetico”, che viene consegnata a tutti, in modo particolare ai religiosi e alle religiose, partendo da una domanda inserita nell’Anno Giubilare: quale speranza per la Vita Consacrata oggi?

Tra l’altro sostengo in questa lettera: “Papa Francesco afferma “la speranza non delude, è sempre lì, silenziosa, umile, ma forte” e grazie alla sua spinta, lo Spirito sembra illuminare la ricerca orientandola verso alcune essenziali esigenze di rinnovamento che si potrebbero quantificare in tre importanti capisaldi: Primato di Dio,   Missione e servizio, Comunità.

È assolutamente necessaria una reale opzione per la fede, per il primato di Dio e per una vita spirituale solida e profonda da parte dei consacrati, opzione da cui dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni. Infatti è proprio la qualità spirituale della vita consacrata che può scuotere le persone del nostro tempo, anch’esse assetate di valori assoluti, trasformandosi così in affascinante testimonianza.

Non basta pensare al rinnovamento della vita consacrata in termini di interventi sulle strutture in cui essa si esprime, i tempi e le forme della preghiera, lo stile della vita fraterna, la quantità e il tipo di opere da portare avanti, la gestione dei beni economici, le varie attività di animazione. Ciò che va cambiato è prima di tutto lo spirito, la radice, la mentalità di fondo dove Dio ha il primato nella vita di chi sceglie di seguirlo con una particolare consacrazione.

A voi, fratelli e sorelle consacrati, a nome della Chiesa, dico: Grazie per ciò che siete, Coraggio, non lasciatevi distruggere dallo scoraggiamento e Conversione, riformando con l’andare alle motivazioni più autentiche e alle finalità più profetiche del vostro essere e del vostro esserci nel mondo.

Mentre ci impegniamo a sostenere e ad accompagnare i nostri fratelli e le nostre sorelle della Vita Consacrata con la preghiera, lasciamoci tutti noi incontrare da Gesù, segno di contraddizione e luce per il nostro cammino di vita.

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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