Ez 37, 12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
26 Marzo 2023
“Il cammino quaresimale ci ha condotto in molti luoghi: il deserto, nel quale scegliere chi servire quando tutto il resto viene tolto; il monte della trasfigurazione, rifugio di un momento per cogliere la gloria che risplende nella vita e nella persona di Gesù; il pozzo, dove scoprire che Gesù ha sete insieme a noi e ci addita un’acqua capace di dissetarci là dove l’arsura della vita non ci dà tregua; gli occhi aperti di un cieco nato, per entrare in una luce capace di farci vedere ciò che altrimenti resta nel buio” (Simona Segoloni Ruta, teologa).
In questa Domenica, nell’imminenza della Pasqua, la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù.
Siamo portati da Gesù davanti al sepolcro del suo amico Lazzaro, che amava molto, morto, senza che Egli affrettasse il viaggio per raggiungerlo e senza aver fatto nulla per guarirlo a distanza come altre volte aveva fatto. L’evangelista Giovanni riprende in questa narrazione molti punti di riflessione seminati nel suo Vangelo.
Gesù dichiara di essere la resurrezione e la vita: chi crede in Lui, anche se muore, vivrà. La resurrezione, infatti, rivela che la vita non può essere distrutta, poiché Dio la rigenera in continuazione. Egli apre i nostri sepolcri, come racconta la Prima Lettura tratta dal profeta Ezechiele, per la potenza dello Spirito che abita in noi, come sostiene l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani, dando vita ai nostri corpi mortali.
Dio è Colui che infallibilmente rinnova la vita!
Nel battesimo siamo rigenerati come figli di Dio, ma anche in ogni morte o lutto che dobbiamo attraversare, compresa inesorabilmente la nostra morte. Gesù, come domenica scorsa al cieco nato, ripete a Marta che se crede, vedrà, andrà oltre l’evento della morte di suo fratello Lazzaro.
La fede, che consiste nel credere oltre ogni apparenza e speranza, non toglie la fatica, né il dolore, né il pianto ma ci fa attraversare ogni morte con la consapevolezza della vita che vince la morte.
La potenza di vita di Dio è reale ma arriva sempre dopo un travaglio altrettanto reale. Gesù stesso, tra l’altro, di fronte alla morte del suo amico, è profondamente sofferente e piange. La prova è indubbiamente dura ma, come aveva già detto per il cieco, Gesù ci svela che “questa malattia non è per la morte” bensì per la gloria di Dio, perché tramite essa il Figlio venga riconosciuto.
“Certo Gesù parlava della malattia di Lazzaro e della propria manifestazione nel segno che stava per compiere risuscitando il suo amico, ma per noi oggi, forse, potrebbe indicare che anche questa pandemia non è per la morte, ma perché scopriamo come vera, importante, significativa, la logica del Vangelo: essere una sola famiglia umana, scoprirsi fratelli e sorelle di tutti, fermare le guerre, farsi prossimi, condividere, prendersi cura, costruire un mondo più giusto, promuovere uno sviluppo che non distrugga, essere disposti a dare noi stessi perché altri vivano certi che Dio non ci abbandona alla morte” (cfr. Simona Segoloni Ruta, teologa).
È chiaro che non è facile avere gli occhi per vedere oltre!
Marta viene guidata da Gesù ad un percorso di fede che la porterà a fare una delle proclamazioni di fede più solenni all’interno del IV Vangelo: “Si, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.
Con onestà dobbiamo riconoscere che la morte è veramente il caso serio della vita e comprendiamo la fatica e la sofferenza di Maria che riesce solo a piangere. Ed è veramente incoraggiante, direi anche consolante, constatare che Gesù piange anche lui con Maria e si fa compagno di chi non ce la fa ad alzare lo sguardo ed andare oltre.
“Poi si porta addolorato davanti alla tomba dell’amico: non ha fermato la malattia e posticipato la morte alla vecchiaia (non è questa la sete ultima da placare), ma guarda a questo dolore come un’occasione per sperimentare e mostrare l’amore vivificante del Padre. «So che tu mi ascolti sempre…»”(cfr. Simona Segoloni Ruta, teologa).
Gesù di fronte all’amico morto, sperimenta il dolore di chi si rende conto che non è possibile lasciare nella morte quelli che amiamo.
L’amore non accetta la morte di chi amiamo, e di fronte a Lazzaro Gesù lo comprende, ne fa esperienza, sapendo che di lì a poco anche lui morirà.
E ha bisogno di sapere, forse, che il Padre, l’amante per definizione, non potrà lasciarlo nel sepolcro della morte e lo farà così rivivere. L’amore è più forte della morte!
“So che tu mi ascolti sempre” e gravido di questa consolazione urla a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”.
“Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare»”.
Nell’attesa della Pasqua da vivere con rinnovato stupore nella liturgia, possiamo, credendoci, affermare che la morte ha i giorni contati e come chiesa, chiamata ad essere una comunità di persone amate e che amano, possiamo urlare con Gesù e dire a tutti coloro che sono nella condizione di Lazzaro: “Liberatelo e lasciatelo andare”.
«Questo grido perentorio è rivolto ad ogni uomo, perché tutti siamo segnati dalla morte, tutti noi; è la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti “l’abbiano in abbondanza”. Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti con le nostre scelte di male e di morte, con i nostri sbagli, con i nostri peccati. Lui non si rassegna a questo! Lui ci invita, quasi ci ordina, di uscire dalla tomba in cui i nostri peccati ci hanno sprofondato. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre. “Vieni fuori!”, ci dice, “Vieni fuori!” (Papa Francesco, Angelus, 6 aprile 2014).
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino
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