Venerdì  Santo  2025 in Passione Domini

18-04-2025

 

Is 52, 13 – 53, 12; Sal 30; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 – 19, 42

 

 

 

Fissiamo gli occhi sul Crocifisso! Sostiamo in silenzio e adorazione, contempliamo e lasciamoci interrogare, entrando in un dialogo profondo, accompagnati da qualche “snodo” del racconto  dell’evangelista Giovanni.

Tutto inizia con la domanda di Pilato: “Sei tu il re dei Giudei?” (Gv. 18,33). Gesù vuol far capire a Pilato che la domanda che egli pone è più seria di quanto egli creda, ma che ha un significato profondo e non ripete semplicemente una accusa altrui. Perciò domanda a sua volta: “ Dici ciò da te stesso o altri te l’hanno detto di me”. Gesù cerca di condurre Pilato a una visione altra. Gli parla del Suo regno “che non è di questo mondo”. Il Procuratore romano capisce che non si tratta di un regno politico e gli domanda con una punta di ironia: “ Dunque tu sei re?” “Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re” (Gv. 18,37). Gesù, dichiarando di essere re,  si espone alla morte. Lascia trapelare la sua origine! Tratta Pilato come uno che ha bisogno di luce e di verità! Vuole indurlo a rientrare in se stesso, a guardare le cose con occhio diverso, libero. Pilato preferisce chiudersi alla ricerca della verità, sceglie di essere scettico e indifferente, preferisce terminare la conversazione e dichiarando “Cos’è la verità?”, esce dal Pretorio. Come è attuale, profondamente vero, questo dialogo sulla verità: anche oggi pur ponendoci la domanda sulla verità, come Pilato, preferiamo chiuderci all’incontro con essa, scrollandoci distrattamente le spalle, assecondando il “Pilato” che è in noi.

Mi colpisce anche la notazione che l’evangelista Giovanni lascia cadere quasi per caso nel momento supremo della croce: “Vi era lì un vaso pieno di aceto” (Gv.19,29). È il segno della Passione meno raffigurato. Sono di più i chiodi, il martello, la corona di spine, la spugna, la lancia … L’aceto per calmare l’arsura della morte di croce era sempre alla portata di mano per questo tipo di supplizio. Tutti e quattro gli evangelisti ricordano l’aceto, come rimedio al grido di Gesù: “ Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato!” Ascoltano l’urlo di Gesù, pensano che sia il rantolo del crocifisso, pongono rimedio con un anestetico naturale per calmare la febbre che divora. L’evangelista Giovanni parla di un vaso pieno di aceto. È la scena centrale del Crocifisso, trasfigurato come su un trono di gloria. Gesù “…sapendo che ormai tutto era compiuto, affinchè si compisse la scrittura, disse: «Ho sete»”. È il momento supremo! In quel grido «Ho sete», la penultima parola che Gesù pronuncia secondo l’evangelista Giovanni, si raccoglie il desiderio degli uomini e delle donne del mondo, della sete di amore, di abbracci, di relazioni, di aria, di sole, di verità, di giustizia, di vita. La sete di Gesù è il compimento di ogni desiderio vero e autentico di bellezza.

Un ultimo snodo da “abitare” contemplando: “dopo aver preso l’aceto Gesù disse: “Tutto è compiuto (Tetelestai)!” “e, chinato il capo consegnò lo spirito”. Il tutto “è compiuto” è il culmine di quel “li amò sino alla fine” (Gv. 13,1), con cui si apre il racconto giovanneo della passione. Qui c’è l’incontro tra la sete di Dio e il nostro bisogno di pienezza. Per questo Gesù, morendo, ci “consegna” lo spirito, e il Suo e quello Santo, perché renda meno amaro quel vaso di aceto che spesso anche noi uomini e donne di ogni tempo berremo nel tempo della nostra esistenza.

Tenendo sempre fissi i nostri occhi sul Crocifisso, lasciamoci “graffiare” il cuore da questo amore vero e indicibile, folle e autentico.

“O Cristo, la speranza è che la tua croce trasformi i nostri cuori induriti in cuori di carne capaci di sognare, di perdonare e di amare. Trasformi questa notte tenebrosa della tua croce in alba folgorante della tua resurrezione”(Papa Francesco).

 

 

   Francesco Savino

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