VI Domenica del tempo ordinario -C-

16-02-2025

VI  DOMENICA  DEL  TEMPO  ORDINARIO  (anno C)

Ger 17,5-8; Sal 1; 1 Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26

16  Febbraio  2025

 

“Tutti gli uomini desiderano essere felici! Se n’era accorto anche Aristotele, il quale pensava alla felicità (eudaimonia) come una meta da conquistare. In un certo senso siamo tutti figli di Aristotele, ci sforziamo di conquistare un po’ di spazio nel mondo, alcuni scalpitano più di altri, alcuni sono capaci persino di fare del male agli altri nell’illusione che questo permetta loro di guadagnare un po’ di visibilità. C’è poi chi pensa che la felicità dipenda dal potere che ha nelle mani, in realtà non si rendono conto che il potere li possiede: entrano in una spirale che li rende sempre più assetati fino al punto da autodistruggersi. Davanti a questi cavalli impazziti che scalpitano per tagliare il traguardo della felicità, si staglia l’immagine serena che troviamo nel libro di Geremia: l’uomo felice, benedetto dal Signore, è come un albero piantato, ben fermo e stabile, lungo corsi d’acqua (Ger 17,8)” (P. Gaetano Piccolo S.J.).

Gesù, grande conoscitore del cuore dell’uomo, parte dal desiderio più profondo che lo abita, quello della felicità, e propone il manifesto dell’essere felici con il “discorso dei campi” contenuto nel Vangelo di Luca e con il “discorso della montagna” redatto nel Vangelo di Matteo.

La risposta di Gesù alla domanda di felicità dell’uomo è rivoluzionaria perché non usa il sostantivo “eudaimonia”, come faceva per esempio Aristotele, ma usa l’aggettivo “macharios”. Infatti la felicità non è una “cosa” da possedere o conquistare, ma è una condizione che qualifica la nostra vita. La forza rivoluzionaria della risposta di Gesù al nostro desiderio di felicità consiste proprio nel presentarci situazioni apparentemente paradossali nelle quali, però, possiamo renderci conto di essere felici.

Gesù infatti ci presenta situazioni in cui c’è una mancanza: felici sono i poveri che non hanno nessuno su cui contare e proprio per questo nella loro vita c’è spazio per Dio. I poveri sono qui gli ptochoi, coloro che possono contare solo su Dio, ma non ostentano la loro povertà. Questo termine viene infatti da un verbo che ha a che fare con il nascondersi. Rendetevi conto, sembra dire allora Gesù, che siete felici quando non avete niente, quando piangete, quando vi odiano, quando vi insultano, perché in quel momento sono io la vostra ricchezza, la vostra consolazione, la vostra difesa. La felicità non è una meta lontana come per Aristotele, perché è in quel giorno, dice Gesù, che vi potete rallegrare. Voi siete nella condizione di accogliere Dio nel vuoto della vostra vita (cfr. P. Gaetano Piccolo S.J.).

Si è infelici, allora, quando pensiamo di bastare a noi stessi, ci sentiamo forti e autosufficienti, ed escludiamo completamente Dio dalla nostra vita. Per Dio non c’è spazio nella nostra esistenza!

Significativa mi sembra la visione spirituale di Sant’Ignazio di Loyola che vede la perdizione dell’uomo soprattutto nella ricchezza, nella vanagloria e nella superbia (cfr. Esercizi Spirituali).

La ricchezza, è giusto puntualizzare, per Sant’Ignazio consiste soprattutto nella “pienezza di sè” e quindi vivere nella illusione di non avere bisogno di Dio.

Proprio questa ricchezza ci fa sentire “palloni gonfiati” e la vanagloria è avere la sensazione di “essere qualcuno”, mentre agli occhi di Dio siamo soltanto niente.

In questo modo si arriva alla superbia che consiste proprio nell’escludere Dio dalla propria vita.

“Mentre nella versione di Matteo, Gesù sale su un monte per parlare alla folla, qui, nella versione di Luca, Gesù scende, si trova in un luogo pianeggiante e, per parlare alla gente, deve alzare gli occhi. Gesù non ci guarda dall’alto in basso per commiserare le nostre situazioni, anzi, si mette più in basso, ci parla alzando gli occhi al cielo, perché, mentre vede le nostre miserie, sta già anche pregando per noi”. (cfr. G. Piccolo S.J.).

Augurando a tutti buona Domenica, poniamoci due domande: cosa vuol dire per noi essere felici? Quale spazio offriamo a Dio nella nostra vita?

Don Giacomo Tantardini ci aiuta nella prima delle due domande, togliendoci dall’illusione di una felicità effimera “Duemila anni fa, allora, la felicità è venuta: ecco il paradiso. La felicità è venuta: non più promessa, non più indicata come termine del cammino umano. La felicità è venuta, il paradiso è venuto. È venuto nella carne così che fosse visto, così che fosse toccato, così che fosse abbracciato. Così che Agostino potesse dire: «Io sapevo che la felicità era Dio, ma non godevo di Te[perché non si gode del sapere, si gode quando si è abbracciati], ma non godevo di Te finché umile non abbracciai il mio umile Dio Gesù» Questa è l’esperienza della felicità sulla terra: abbracciare umile il mio umile Dio Gesù. Non Dio destino lontano, ma Dio fatto bambino, piccolissimo bambino: così il paradiso, la felicità è venuta incontro, così la felicità si è fatta vicina, così si è fatta a portata di occhi, a portata di cuore, a portata delle mani, delle mani che la possono abbracciare. Il paradiso in terra è Lui” e nella seconda Benedetto XVI, citando Antonio da Padova, ci indica il percorso più realistico, la preghiera, per comprendere l’origine dello spazio che va donato a Dio nella nostra vita quotidiana “Secondo l’insegnamento di questo insigne Dottore francescano, la preghiera è articolata in quattro atteggiamenti”. Il primo passo è “aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio”, poi “colloquiare affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; e poi – cosa molto naturale – presentargli i nostri bisogni; infine lodarlo e ringraziarlo. In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo” (Udienza generale del 10 febbraio 2010).

Aiutiamoci, dunque, insieme in questo cammino di conversione.

   Francesco Savino

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