Ordinazione presbiterale don Emilio Mitidieri e don Francesco Rizzi

VIII Domenica del Tempo Ordinario – C-

Sir 27,4-7; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45

01-02-2025

Cari don Emilio e don Francesco,

care sorelle e fratelli, ciascuno con la propria vocazione: entriamo con questa celebrazione nel mistero della risurrezione di Gesù Signore, con cui ogni Domenica ci annuncia che una nuova creazione è iniziata.

È cambiata la storia! Siamo già in un altro mondo. Ed è per questo che oggi cambia la vita di due giovani ormai adulti, uomini maturi e disposti a decidersi e a giocarsi. La nostra Chiesa celebra stasera la Resurrezione di Gesù in loro. È importante capire questo: la vita non vince solo dopo la morte. La vita vince nella vita. Quando non è così sopravviviamo, tiriamo stancamente avanti, ma sfiduciati e girando a vuoto. Ora, invece, gli effetti della Resurrezione hanno penetrato la biografia di Emilio e Francesco, il dono che Gesù ha fatto di ogni istante della sua vita ha scatenato il desiderio nei nostri fratelli di donare la loro vita. E noi, tutti noi, non siamo semplici spettatori. Non ce ne stiamo in poltrona a vedere questo spettacolo, ma ne siamo coinvolti e ne siamo parte. Loro non avrebbero incontrato Gesù senza la Chiesa e non avrebbero a chi donare la vita senza la Chiesa. Portiamo questa gioia nell’Eucaristia, servizio di lode e di ringraziamento, azione di gioia e principio di meraviglia e di trasformazione.

Ascoltiamo San Paolo gridare il suo stupore: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?». La morte ha quindi una punta, come un insetto pericoloso che può iniettare in noi il suo veleno. Ci accorgiamo di vivere in un clima avvelenato, di ascoltare parole velenose, di subire politiche omicide.  «Dov’è o morte la tua vittoria?». Noi risponderemmo: «Dappertutto!». L’Apostolo, invece, testimone della risurrezione di Gesù, non risponde come noi. Ha visto la fine della morte. Prima non lo voleva credere: voleva mettere a tacere quell’annuncio, perseguitando i credenti. Poi, sulla via di Damasco, la fine della morte viene a prenderlo e lo ricolma di vita. Paolo risorge. “Dov’è o morte la tua vittoria?”. Cari Francesco ed Emilio: la luce del vostro volto racconti la fine della morte; l’attenzione e la cura in ogni parola e in ogni gesto diradino le nubi che rendono buia la vita del nostro popolo. La predicazione del Vangelo, la celebrazione dell’Eucaristia, il ministero della Riconciliazione sono culmine e fonte di esistenze fra la gente e con la gente: vite di risorti, facce da risorti.

Carissimi, il pungiglione della morte è il peccato, perché il peccato è separazione. La vita è comunione, la morte è separazione. Dividere è il mestiere del diavolo. Il Messia, invece, riconcilia. Emilio e Francesco: non prendete le distanze da nessuno, né dai santi, né dai peccatori.

Seguite Gesù verso tutti, tutti, tutti. Abbattete i muri. Non cercate di piacere a tutti, come sono tentati di fare quelli che fuggono dai fastidi e lavorano a obiettivi soltanto personali. Voi cercate di piacere a Dio, somigliando al suo Figlio primogenito, modellati dall’azione dello Spirito. Si moltiplicheranno i vostri talenti, si intensificheranno i vostri doni, se vi avvicinerete a ciascuno con delicatezza e rispetto. Lo farete per divenire ospiti, bussando al cuore, tesi a capire, larghi nel comprendere, tenaci nell’accompagnare. Fatevi popolo, per far sognare un popolo. Arriverete presto a organizzare la speranza, se prima scenderete nelle profondità di ciascuno e di tutti, negli abissi e fra gli scarti di comunità che si ammalano quando pensano solo alla propria facciata. Vinciamo insieme la malattia dell’autoreferenzialità: la Chiesa e quindi la parrocchia, ogni parrocchia, non esiste per se stessa, ma per il luogo umano in cui è posta. Case dalle porte aperte, perché si entri e si esca, abbattendo distanze e separazioni visibili e invisibili.

Abbiate nella preghiera radici profonde. «Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo». La vostra azione e le vostre pause racconteranno che albero siete. Imparate a guardare così anche alle vostre comunità, che sono come i rami, che vorremmo carichi di frutti, della Chiesa diocesana impiantata da secoli in questa terra. «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». Praticate la lectio divina, per non diventare guide cieche. Masticate, metabolizzate, ruminate – come dicevano i Padri – le Sacre Scritture. È la Parola di Dio a rendere fertile la nostra terra, altrimenti arida e insanguinata. La desertificazione che rende la vita secca e senza frutti inizia dalla distanza fra noi e la Parola di Dio. Le devozioni popolari, le feste patronali, i movimenti ecclesiali: tutto si corrompe lontano dalle Sacre Scritture. La Bibbia modelli le tradizioni, le custodisca e le rinnovi grazie al vostro ministero. La Bibbia vinca, distrugga, sradichi il “si è sempre fatto così”, la più comune e ignorante falsificazione della grande storia della Chiesa, in cui il vostro ministero oggi si innesta. Invocheremo i Santi, fra poco, durante la vostra prostrazione: i santi ispirino la vostra creatività, vi aiutino a incarnare la Sacra Scrittura nell’oggi di questa terra, liberando la vita locale dalle incrostazioni che impediscono al Vangelo di essere colto nella sua purezza.

Maria, Madre della Chiesa e della Speranza, sia vostra fiducia e vostro sostegno.

Amen.

 

   Francesco Savino

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