Gn 18, 20-21. 23-32; Sal 137; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13

XVII Domenica del tempo ordinario – C

27-07-2025

“Signore, insegnaci a pregare”!

Lasciamoci seriamente interrogare da questa richiesta dei discepoli, che siamo anche noi, a Gesù. La preghiera non è un lusso per pochi, non è una necessità per tutti i discepoli, quasi una fissazione di alcuni che non si rendono conto delle urgenze pratiche della vita nel mondo contemporaneo. La preghiera è il respiro della vita cristiana! Entriamo in dialogo con il brano del Vangelo di questa Domenica che è in realtà composto di tre parti: la preghiera di Gesù, la parabola dell’amico insistente e la sua applicazione.

Gesù mentre sta andando a Gerusalemme si ferma, incontra la gente, sosta e prega, per questo i discepoli, vedendolo in preghiera, sono colpiti e lo interrogano su di essa.

Gesù, in risposta alla richiesta dei discepoli sulla preghiera, ne consegna una breve che gli evangelisti Luca e Matteo ci hanno trasmesso in due versioni: “Quella di Luca è più breve, costituita innanzitutto da due domande che hanno un parallelo nella preghiera giudaica del Qaddish: la santificazione del Nome e la venuta del Regno. Seguono poi tre richieste riguardo a ciò che è veramente necessario al discepolo: il dono del pane di cui si ha bisogno ogni giorno, la remissione dei peccati e la liberazione dalla tentazione. Preghiera semplice quella del cristiano, senza troppe parole, ma piena di fiducia in Dio – invocato come Padre – nel suo Nome santo, nel suo Regno che viene” (Enzo Bianchi).

Questo è l’essenziale della preghiera che Gesù ci ha consegnato! Sostiamo sui versetti seguenti che contengono la parabola e la sua applicazione. Questa parabola è riportata solo dall’evangelista Luca che presenta la preghiera di domanda come preghiera insistente, assidua, che non viene meno e che sa mostrare a Dio una perseveranza fedele.

Gesù si rivolge ai suoi ascoltatori dialogando direttamente con loro partendo da una domanda: “Chi di voi …. ?”.

È una parabola che racconta ciò che può accadere a ciascuno degli ascoltatori e anche a noi oggi: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono».

Ci troviamo di fronte ad una parabola molto semplice che ha la finalità di mostrare come l’insistenza di una domanda, anche ad un amico, generi l’esaudimento non tanto per l’amicizia quanto per l’insistenza stessa, spesso anche noiosa.

Gesù partendo da questa constatazione che una richiesta viene esaudita per la sua insistenza, commentando invita così i suoi interlocutori: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”.

Parafrasando le parole di Gesù possiamo dire che quel “chiedete” possiamo anche tradurlo con “pregate” dato il contesto in cui la parabola, con il commento di Gesù, è inserita.

È chiaro che sorge spontanea una domanda: “Perché Dio ha bisogno di essere più volte supplicato, perché vuole essere cercato, perché vuole che bussiamo ancora e ancora? Ne ha così bisogno? No, siamo noi che abbiamo bisogno di chiedere, perché siamo dei mendicanti e non vogliamo riconoscerci tali; siamo noi che dobbiamo rinnovare la nostra ricerca di ciò che è veramente necessario; siamo noi che dobbiamo desiderare che ci sia aperta una porta, in modo da poter incontrare chi ci accoglie. Dio non ha bisogno della nostra insistente preghiera, ma siamo noi ad averne bisogno per imprimerla nelle fibre della nostra mente e del nostro corpo, per aumentare il nostro desiderio e la nostra attesa, per dire a noi stessi la nostra speranza” (Enzo Bianchi).

Gesù, a conclusione della parabola e del suo commento, aggiunge un’altra applicazione: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Alcuni commentatori dichiarano che quest’ultima parola di Gesù è stata meditata poco e spesso con poca intelligenza.

Sostiene infatti ancora Enzo Bianchi: “Gesù sa, e per questo lo dice con franchezza, che noi umani siamo tutti cattivi (poneroí), perché in noi c’è una pulsione, un istinto a pensare a noi stessi, ad affermare noi stessi, alla philautía, l’amore egoistico di sé. Eppure, anche se questa è la nostra condizione, siamo capaci di azioni buone, almeno nel caso di un rapporto famigliare tra padre e figlio. Ebbene, se noi, pur nella nostra cattiveria, diamo cose buone ai figli che ce le chiedono, quanto più Dio, che “è il solo buono” (agathós: Lc 18,19), darà cose buone a chi gliele chiede! Ma come dimenticare che sovente abbiamo fatto di Dio un padre più cattivo dei nostri padri terreni? Scriveva Voltaire: “Nessuno vorrebbe avere come padre terreno Dio”, ed Engels gli faceva eco: “Quando un uomo conosce un Dio più severo e cattivo di suo padre, allora diventa ateo”. È così, ed è avvenuto così perché i cristiani hanno dato un’immagine di Dio come giudice severo, vendicativo e perverso, fino a spingere gli umani ad abbandonare un tale Dio e a negarlo! Gesù invece ci parla di un Dio Padre più buono dei padri di cui abbiamo fatto esperienza, insegnandoci che sempre Dio ci dà cose buone quando lo invochiamo”.

A conclusione di questa pagina bella di Vangelo possiamo dire che la preghiera non è magia, non è un “affaticare gli dei” (Lucrezio), uno stordire Dio a forza di parole moltiplicate. Dio non è a disposizione nostra come un distributore che esaudisce ogni nostro desiderio! Ci fa bene, allora, la precisazione dell’evangelista Luca che ci fa capire che il dono più bello da riconoscere è che Dio non ci farà mai mancare lo “Spirito Santo”. Ciò deve renderci tutti consapevoli che non siamo abbandonati alle forze del male o a un destino di morte ma lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto, ci sostiene, ci accompagna, ci consola e non ci fa mai sentire abbandonati nella nostra esistenza.

Soprattutto bisogna ascoltarLo nel silenzio del proprio cuore e del cuore del mondo.

“Il silenzio è la preghiera. Il frutto della preghiera è la fede. Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è il servizio. Il frutto del servizio è la pace” (Santa Madre Teresa di Calcutta).

Buona Domenica.

 

   Francesco Savino

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