Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

XX Domenica del tempo ordinario – anno B

18-08-2024

“Un Vangelo di soli otto versetti, e Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell’acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più. Per otto volte, Gesù insiste sul perché mangiare la sua carne: per semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è solo sopravvivere. È l’incalzante certezza da parte di Gesù di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita” (Ermes Ronchi).

È un Vangelo senz’altro “scandaloso”, forse per alcuni ripugnante, soprattutto se non sappiamo stare dentro una relazione intima con il Signore.

Gesù aveva detto: “Io sono il pane vivente, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questo annuncio appariva una pretesa intollerabile, un’affermazione irricevibile e, come tale, aveva suscitato mormorazione e discussione (cfr. Gv 6,41-42). Qui nasce un’aspra discussione, una vera e propria battaglia verbale tra gli ascoltatori di Gesù: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Ed egli risponde loro con espressioni ancora più scandalose, rendendo il suo annuncio più duro e urtante, in modo da togliere ogni possibilità di comprendere le sue parole in modo semplicemente parabolico, in modo intellettuale, raffinato ma gnostico: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita eterna” (Enzo Bianchi).

Pensare di poter mangiare la carne del Figlio dell’Uomo è già uno scandalo, immaginare di bere il sangue è un’azione gravemente peccaminosa, vietata dalla Legge.

Nella Torah, sta scritto: “Ogni uomo, Israelita o straniero dimorante in mezzo a loro, che mangi di qualsiasi specie di sangue, contro di lui, che ha mangiato il sangue, io volgerò il mio volto e lo eliminerò dal suo popolo. Poiché la vita della carne è nel sangue” (Lv 17, 10-11).

Ora Gesù annuncia che per avere parte alla vita eterna, alla vita di Dio, occorre mangiare, meglio “masticare”, la carne del Figlio dell’Uomo e bere il suo sangue.

Il realismo nelle parole di Gesù, secondo l’evangelista Giovanni, vuole affermare come la partecipazione al pane e al calice di Gesù Cristo sia la partecipazione al suo corpo e al suo sangue.

Tutto ciò avviene sacramentalmente, cioè attraverso il mangiare i segni del pane e del vino, si riceve tutta la vita del Figlio, fattosi carne e sangue, nato da donna.

Se interroghiamo la storia della fede cristiana, ci rendiamo conto che non fu facile confessare la reale umanità di Gesù, ci sono state delle vere e proprie eresie, e il corpo di Gesù è stato solo immaginato apparentemente.

“Ciò che questo linguaggio duro tenta di farci comprendere è che l’incarnazione, cioè l’umanizzazione di Dio, va accolta seriamente, senza riserve e senza pensieri che rispondono più al bisogno religioso dell’umanità che all’azione di Dio. La verità è che Dio si è fatto uomo in Gesù affinché lo cercassimo e lo trovassimo, per quanto ci è possibile, nella condizione umana. Dio ha voluto condividere con noi proprio la nostra umanità, la nostra stessa carne, perché noi potessimo realmente conoscere il suo amore, non come qualcosa da credere, ma come qualcosa che comprendiamo e sperimentiamo attraverso e nella nostra carne. Gesù è questa carne che possiamo incontrare nella nostra carne, è questo corpo che possiamo incontrare solo nella nostra corporeità. Perché noi potessimo partecipare alla vita di Dio – “diventare Dio”, come si esprimevano gli antichi padri della chiesa d’oriente – era necessario che Dio diventasse uomo e che carne e carne, corpo e corpo si incontrassero realmente. L’amore espresso solo a parole, anche nella rivelazione non era sufficiente: occorreva una carne umana che raccontasse (exeghésato: Gv 1,18) Dio, una carne umana che, amando la nostra umanità, ci narrasse l’amore di Dio, o meglio il “Dio” che “è amore” (1Gv 4,8.16). Questa nostra carne, che ci dice la nostra debolezza, la nostra fragilità, la nostra morte, questa carne che a volte pensiamo di negare o dimenticare in favore di una “vita spirituale”, per poter incontrare Dio, proprio questa carne è stata assunta da Dio e non è un ostacolo alla comunione con lui, ma anzi è il luogo ordinario dell’incontro con Dio” (Enzo Bianchi).

Possiamo senz’altro affermare che Incarnazione di Dio, Resurrezione della carne ed Eucarestia, esprimono insieme il mistero della nostra salvezza. Ed è bello sapere che nella nostra povera carne, nel “corpo di miseria” (Fil 3,21) che noi siamo, proprio lì noi incontriamo Dio, perché in Gesù “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2, 9).

La carne e il sangue di Cristo, entrando in noi, ci trasformano generando ciò che è impossibile: diventare il Figlio di Dio in Cristo stesso. Man mano che andiamo avanti nella vita ci accorgiamo che la logica del dono presente concretamente nell’Eucarestia, trasforma tutta la nostra vita fino al punto da farci vivere non più rivolti verso noi stessi, secondo una logica introversa ed egoistica, ma verso l’esterno, secondo una logica estroversa e di dono. Comincia a diventare vera e comprensibile quell’affermazione di Gesù che ci riporta San Paolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere.

Chi mangia la carne e beve il sangue di Cristo vivrà per sempre, risorgerà.

E come sostiene sapientemente il teologo Giuseppe Colombo, ricevendo l’Eucarestia, al cristiano è data la possibilità di vivere la vita come l’ha vissuta Gesù, perché non vive più lui, ma Cristo vive in lui (cfr. Gal 2, 20).

Buona Domenica.

   Francesco Savino

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