Gn 2,18-24; Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16
6 Ottobre 2024
Il Vangelo di questa Domenica, XXVII del Tempo Ordinario, ci presenta un confronto di Gesù con alcuni farisei che lo mettono alla prova, cercando di sorprenderlo in errore riguardo alla tradizione dei padri, sul tema della possibilità del divorzio.
L’annuncio del Vangelo è esigente e chiaro ma se da una parte ci scandalizza, soprattutto quando pensiamo alla faticosa realtà della vicenda nuziale, dall’altra, purtroppo, lo stesso brano può essere utilizzato per giudicare e condannare.
Ogni volta, quindi, che prediciamo su questo Vangelo dobbiamo prima metterci in ginocchio dinanzi al Signore e al tempo stesso davanti ai cristiani e alle cristiane che vivono il matrimonio per dire loro parole di verità nel rispetto della coscienza di ciascuna e di ciascuno, senza pregiudizi e giudizi.
“Nel millennio dell’Antico Testamento la pratica del divorzio era comune in tutto il medio oriente e il mondo mediterraneo. Il divorzio era una realtà normata dal diritto privato, che lo prevedeva solo su iniziativa del marito. Il matrimonio era un contratto, neppure scritto, e dobbiamo riconoscere che nell’Antico Testamento non vi è nessuna legge sul matrimonio. Il brano del Deuteronomio a cui certamente si riferiscono i farisei (Dt 24,1-4) in verità appartiene alla casistica e non alla dottrina, perché mette a fuoco un caso particolare, e di conseguenza deve essere recepito con dei limiti ben precisi. Si legge in quel testo: Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualcosa di vergognoso (‘erwat davar, lett.: “nudità di qualcosa”), scriva per lei un certificato di ripudio, glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa (Dt 24,1). Viene dunque contemplato il caso in cui l’uomo trovi nella moglie “qualcosa di vergognoso”, espressione assai vaga che i rabbini interpretano in modi molto diversi; in tal caso, il marito ha la possibilità di divorziare. A certe condizioni, pertanto, il divorzio è permesso e ne è prevista la procedura, ma da questo non si può concludere che nella Torah, nella Legge di Mosè vi sia una dottrina sul matrimonio e una sua precisa concordi disciplina. D’altra parte, i profeti, i sapienti e gli stessi testi essenici non offrono posizioni certe e chiare che escludano il divorzio e proclamino che la Legge di Dio lo vieta. Solo Malachia testimonia una parola del Signore semplice ma radicale: “Io odio il ripudio” (Ml 2,16)” (Enzo Bianchi).
Gesù è chiamato dai farisei a esprimersi: “È lecito a un marito ripudiare la propria moglie?”. Risponde con un’altra domanda: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Ed essi a Lui: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”. I farisei sembrano affermare che questa è la Torah! Gesù, come sempre, sorprendendo e spiazzando i suoi interlocutori, non entra nella casistica religiosa, non si mette a precisare condizioni necessarie al ripudio, non si schiera né dalla parte dei rigoristi né da quella dei lassisti, ma Gesù, pedagogicamente, vuole risalire alla volontà del legislatore, Dio.
Gesù ci fornisce un criterio significativo di discernimento nell’interpretare la Sacra Scrittura: fare riferimento all’intenzione di Dio, alla Sua volontà, e non alle tradizioni umane.
Gesù, infatti, risponde: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.
Opportunamente afferma Enzo Bianchi: “Gesù risale al disegno del Creatore, alla creazione dell’adam, il terrestre tratto dall’adamah, la terra (cfr. Gen 2,7; 3,19), fatto maschio e femmina perché insieme i due vivano nella storia, la storia dell’amore, la storia della vita, l’uno di fronte all’altra, volto contro volto, in una reciproca responsabilità, chiamati nel loro incontro a diventare una sola realtà, una sola carne. In questo incontro di amore c’è la chiamata a essere amanti come Dio ama, essendo lui amore (cfr. 1Gv 4,8.16), di un amore durevole, fedele, per sempre; in questo incontro c’è l’arte e la grazia del dono gratuito l’uno all’altra, a cominciare dal proprio corpo; c’è l’alleanza che fa sì che l’incontro sia storia nel tempo e tenda dunque al “per sempre”, fino alla morte, per andare anche oltre la morte”.
Questa è la volontà di Dio quando ha creato l’uomo e la donna, ma, ammettiamolo, è un mistero tanto grande quanto difficile per gli esseri umani fragili, deboli e peccatori.
Sappiamo di quanta miseria e al tempo stesso di quanta grandezza si sperimenta nella relazione sponsale.
Gesù, dopo aver espresso questa parola esigente, la spiega ai suoi discepoli, nella casa in cui la comunità si ritrovava. Nella spiegazione Gesù aggiunge qualcosa di straordinario per la cultura del tempo, mettendo sullo stesso piano la responsabilità dell’uomo e quella della donna: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Mosè, senz’altro ha umanizzato la pratica del divorzio ma Gesù è andato oltre, evidenziando la volontà, l’intenzione del Creatore.
L’evangelista Marco, nella parte finale del Vangelo, cambia argomento e passa al tema dell’accoglienza dei piccoli.
Vengono portati e presentati a Gesù dei “bambini” (paidía), affinché li tocchi, e dunque attraverso il contatto fisico comunichi loro forze benefiche di guarigione di benedizione. Nella cultura giudaica del tempo i bambini non contavano nulla, erano di fatto trattati da esclusi, come le donne e gli schiavi. Il rapporto con un rabbi è una relazione importante che riguarda gli adulti, quelli che sono in grado di conoscere e osservare la Torah. Per questo i discepoli intervengono a sgridare i bambini, ma Gesù va in collera, si indigna e li rimprovera perché i bambini, come gli altri “esclusi” e “marginali”, hanno un loro posto nel regno di Dio.
Gesù vuole farci comprendere che i destinatari primi del Regno di Dio sono i bambini e quelli che sono simili a loro per la piccolezza e l’essere scartati. Gesù in questo modo ammonisce quanti nella sua comunità vorrebbero impedire ai “piccoli” di avvicinarsi a Lui.
Proprio questi ultimi costituiscono la priorità nel Regno di Dio.
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino