Durante il suo viaggio verso Gerusalemme Gesù è interrogato dai suoi: “Accresci in noi la fede”.
Questa domanda/richiesta è motivata dal fatto che Gesù parla del perdono incondizionato e quindi, dinanzi alla radicalità delle proposte che Gesù pone, i discepoli chiedono di accrescere la loro fede.
Gesù risponde con una iperbole alla loro richiesta: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sradicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe”.
Interpretando la risposta di Gesù possiamo dire che la fede in Cristo ci dona quel potere di liberazione, sia rispetto a noi stessi che alle cose e agli altri. Non si tratta di un potere di egemonia, dominio, ma di un potere che ci consente di avere uno sguardo sulla realtà capace di cogliere il suo vero senso consentendoci di andare oltre.
La fede è un rapporto, una relazione, un incontro con Cristo! Non è una emozione o un sentimento che lascia il tempo che trova, ma è fidarsi e affidarsi al Dio di Gesù, consapevoli che non siamo abbandonati alle forze del male o a un destino di morte ma siamo, nonostante tutto, abbracciati da qualcuno che ci ama veramente, il Dio di Gesù.
La fede non è in noi o nelle nostre capacità, o nelle forze di qualcuno, ma in Cristo Gesù. La fede, che è questo rapporto con Gesù e il Padre, va alimentata sempre nella preghiera, nei sacramenti, nella Parola di Dio e anche attraverso gesti concreti.
È significativo che Gesù, dopo aver risposto ai suoi discepoli sulla richiesta di accrescere la fede, racconti una parabola che li riguarda particolarmente, in quanto inviati a lavorare nel campo, nella vigna, il cui padrone è il Signore. Gesù li mette in guardia da confidare in sé stessi, perché questo è il peccato che si oppone radicalmente alla fede. Egli categoricamente dice ai suoi: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Opportunamente Enzo Bianchi così commenta: “Nella sequela di Gesù non si rivendica nulla, non si pretendono riconoscimenti, non si attendono premi, perché neppure il compito svolto diventa garanzia o merito. Questa gratuità del servizio deve essere visibile nella vita della chiesa, perché “un apostolo non è più grande di colui che l’ha inviato” (Gv 13,16). Essa è costitutiva dell’autorevolezza dell’apostolo, di ogni inviato, che non “guarda a sé stesso”, non misura il proprio lavoro, ma obbedisce soltanto alla parola del Signore, mosso dall’amore per lui, affidando a lui e alla sua misericordia il giudizio sul proprio operato. Per chi ama basta amare e non c’è attesa di riconoscimento! Ciò che si fa per il Signore, si fa gratuitamente e bene, per amore e nella libertà, non per conquistare un merito o per avere un premio… Purtroppo oggi nella vita ecclesiale i premi, i meriti vengono dati da sé stessi a sé stessi e non si aspetta qualcosa da Dio, il Signore!”
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino