Se la Parola di Dio di Domenica scorsa ci illuminava sul rapporto viziato fra maschi e femmine, oggi ci invita a riflettere sul rapporto con le ricchezze: il denaro, senz’altro, ma anche l’affermazione di sé, il ruolo, il prestigio, la sicurezza affettiva.
Il Vangelo di Marco di questa Domenica narra di un tale (Mc 10, 17), giovane di età secondo Matteo (Mt 19, 20), notabile non più giovane secondo Luca (Lc 18, 18.21), di condizione benestante: “Possedeva molti beni” (Mc 10, 22), “Era molto ricco” (Lc 18, 23).
Ci troviamo senz’altro di fronte ad un uomo possidente, ma con un interrogativo che gli attraversava il cuore: la domanda di senso. È nell’abbondanza economica e nella stima sociale, ha ereditato l’ereditabile, eppure è inquieto e non pienamente soddisfatto.
Il qualcosa che gli manca fa di lui un essere di ricerca, un mendicante di verità, di luce.
È un uomo che ha il desiderio di trovare una via di uscita alla propria condizione di inquietudine e cerca una risposta alla propria domanda di significato: la vita eterna.
Questo tale, ci dice il Vangelo di Marco, corre incontro a Gesù che andava per strada e, inginocchiatosi, lo rende partecipe del suo problema: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”.
Annotiamo come quest’uomo di domanda e di ricerca si manifesta anche come uomo di discernimento. Si affida a Gesù chiamato da lui stesso Maestro perché sa insegnare, cioè trasmette segni, parole e gesti che sono chiave di lettura per chi è abitato da domande profonde sulla vita.
La risposta di Gesù a questo tale che vive tutto un suo esodo personale alla ricerca di una vita bella e buona, umanissima e sottratta al potere della morte, attiene ai comandamenti, alla Legge-Torah: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”.
Quegli, alla ricerca della vita eterna, della felicità e della gioia piena, risponde a Gesù: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”, una confessione che libera in Gesù uno sguardo d’amore nei suoi confronti tradotto in una parola molto singolare: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi! Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”.
Annota opportunamente padre Giancarlo Bruni: “La soglia data da una chiamata personalissima, il passare oltre divenendo compagno di viaggio di un amico trovato condividendone il sogno di dedizione incondizionata di sé e di donazione totale di ciò che si ha a vantaggio del povero mondo, non è stata varcata. A motivo di un amore più grande, la ricchezza. E un uomo chiamato a divenire senza riserve la sua verità, il perdersi per un amico e il perdere per i poveri, ciò che gli mancava per essere compiutamente se stesso, nel negarsi a questo finisce per varcare la soglia dell’oscurità e della tristezza. La luminosità e la gioia di chi si consegna all’orizzonte del dono lasciano il posto all’oscurità e alla tristezza figlie della conservazione di sé e di ricchezze murate”.
Alla decisione di questo tale di non mettersi alla sequela di Gesù, segue una sorta di catechesi-riflessione di Gesù ai suoi discepoli sulla difficoltà di chi possiede ricchezze ad entrare nel Regno di Dio. E dinanzi alle obiezioni dei suoi, Gesù li rassicura dicendo: “…Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Un Vangelo di grande attualità, quello di questa Domenica, quello del rapporto ricchezza e felicità.
“Il ricco che ha varcato la soglia della giusta domanda, se vi sia un presente che meriti futuro e un modo di essere e di esistere che renda sensato e felice il giorno dato a vivere, giorno proteso a una fioritura che neppure la morte può interrompere, si è arrestato dinanzi alla proposta e da quel momento, le cose non saranno più come prima, entra nella tristezza, si è preclusa la felicità” (padre Giancarlo Bruni).
Augurandoci buona domenica, lasciamoci interrogare sul rapporto che ciascuno di noi ha con le ricchezze, di tutte le forme di ricchezza, nella consapevolezza che un vero cammino di libertà e di felicità passa inesorabilmente dalla nostra emancipazione di tutto ciò che rischia di essere idolatrico nella nostra vita.
Per questo occorre continuamente domandare.
“Che cosa rimane? Rimane il cuore. Il cuore è ferito, ma il cuore rimane cuore. Questa è l’altra grande cosa che il cattolicesimo dice. Ferito, annebbiato nel riconoscimento del vero e debilitato nella possibilità di essere coerente col vero, eppure il cuore rimane. Rimane il cuore dell’uomo. Il cuore che nostra madre, nostro padre ci hanno dato, che Dio attraverso loro ci ha dato, rimane cuore. Cioè il cuore rimane attesa, attesa di incontrare qualcosa. Il cuore rimane domanda di essere contento, il cuore rimane domanda di felicità. Il cuore ferito rimane cuore” (Don Giacomo Tantardini).
Non smettiamo di attendere.
✠ Francesco Savino