Lasciamoci interrogare seriamente e responsabilmente dal Vangelo di questa Domenica che ci presenta il gesto dell’obolo della vedova, un episodio decisivo per comprendere tutto il Vangelo di Marco. È una chiave di lettura, non a caso collocata tra la conclusione delle controversie di Gesù al Tempio e sul Tempio e la profezia sulla distruzione dello stesso, con la proclamazione del Cristo, pietra scartata divenuta pietra d’angolo di una nuova costruzione.
Si tratta di un racconto non tanto morale sulla generosità o non generosità, ma una narrazione esemplificativa del destino della morte di Gesù e, al tempo stesso, del senso di essa e della sua intera vita.
Il Vangelo inizia con l’invito di Gesù a “Guardarsi dagli scribi che amavano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti dalle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa”.
L’evangelista Marco, dopo aver sottolineato questo duro attacco di Gesù verso gli Scribi e i Farisei, annota che Egli “seduto di fronte al tesoro”, alla cassetta cioè che raccoglieva l’elemosina fatta al Tempio, osserva la folla che vi depone la propria offerta.
“Sostanziosa, molte monete, quella di tanti ricchi, una cifra pressoché insignificante quella di una povera vedova, due monetine che fanno un soldo (Mc 12,41-42). All’osservazione Gesù fa seguire la chiamata a sé dei discepoli e l’interpretazione di quanto ha visto: questa vedova ha gettato più di tutti, tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere, non il superfluo (Mc 12,43-44)” (Giancarlo Bruni).
Notiamo che questa vedova non ha gettato qualcosa nella cassetta delle offerte, ma ha gettato la sua stessa vita, il tutto di sé.
Un gesto che ci appare assurdo, al di là di ogni logica umana, da parte di una persona unica, la sola ad agire così.
Gesù legge e interpreta nella vedova se stesso, la sua vita, la sua morte così assurda, apparentemente inutile e invece tanto significativa: è un dono radicale, incondizionato e asimmetrico di sé.
L’evangelista Marco apre così una riflessione, nella Chiesa delle origini, ma direi di sempre, anche di oggi, sul significato scandaloso e folle della “Croce”, richiamato evocativamente dall’episodio dell’obolo della vedova.
Annota puntualmente e sapientemente Giancarlo Bruni: “Dio in Cristo si identifica con una creatura nella miseria la cui generosità senza limite senza riserve sta nel donare totalmente se stessa, per puro amore, a un mondo assurdo che la sfrutta. Icona dello spegnersi di Cristo per uomini di ogni dove senza frutti, senza qualità, sempre pronti a spegnerlo: io, tu, noi, loro senza eccezione alcuna, infastiditi dalla sua stessa presenza che costringe a rendersi conto del come siamo presenti al mondo”.
Ma se è vero che questa scelta di Gesù, interpretata nel dono totale di sé della vedova, da chi non è accolta e compresa, sembra assurda e irrazionale, è anche vero che quando viene accolto e compreso questo dono totale di sé di Cristo, proprio allora nasce l’uomo nuovo, l’uomo altro rispetto all’immaginario collettivo.
Nell’accoglienza concreta nella nostra vita del dono radicale di Cristo all’umanità, noi, per dirla con l’apostolo Paolo, diveniamo “predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio”.
L’amore in perdita, senza calcoli, della vedova povera, interpretazione illuminante di ciò che Gesù, il Cristo, ha fatto, diventi per noi occasione seria di una verifica personale ed ecclesiale.
È proprio su questa frontiera o, direi meglio, su questa scelta totalizzante, che si gioca la credibilità personale del nostro essere cristiani e al tempo stesso l’autenticità del nostro essere Chiesa.
“Nessuno, carissimi, può ritenersi estraneo ad una buona azione. Nessuno sia giustificato dalla sua povertà, come se essa fosse a stento sufficiente a lui e non potesse giovare ad un altro. Ciò che è offerto da chi è piccolo è grande, e nella scala della giustizia divina si viene valutati non sulla base della quantità dei doni ma sulla base del peso delle anime. La vedova del Vangelo ha messo due monete nella camera del tesoro, e questo ha sorpassato i doni di tutti i ricchi. Nessun atto di pietà è di poco valore agli occhi di Dio. Nessun atto di compassione è infruttuoso. Egli ha dato risorse diverse agli uomini, ma non chiede sentimenti diversi” (San Leone Magno, Sermone 20,3,1).
Buona Domenica.
✠ Francesco Savino