Lettera ai presbiteri

Proprio questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio.

Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa

come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio,

il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza…
(2Cor 3,4-6)

Carissimi fratelli presbiteri,

rivivendo in noi la chiamata dei primi discepoli, ricordate quel giorno, lungo le rive del mare? È un ricordo unico e singolare per ciascuno di noi, eppure ci unisce tutti in una memoria condivisa.
Un esercizio spirituale che in questo giorno potremmo fare è quello di ritornare con la mente e con il cuore al momento e al luogo della nostra chiamata. Ritornare, con una memoria grata e stupita, a quell’evento che ha capovolto per sempre le coordinate della nostra esistenza. Forse a seguito di una catechesi in parrocchia o di un campo estivo con gli amici o in mezzo agli ammalati delle nostre comunità? Fare memoria della prima chiamata vuol dire ritornare a celebrare anche oggi l’iniziativa di Dio nella miseria della nostra storia: “Lui mi ha guardato con fiducia, non per i miei meriti, ma per la gratuità del suo amore”.
Quel giorno, passando, Egli ti chiamò. Avevi cercato lontano, ma Egli era proprio lì, al tuo fianco, e poneva il tuo sguardo su di te. Era uno sguardo pieno di fiducia, ti amava e credeva in te. Forse non ti eri mai sentito così meritevole di fiducia, anzi pensavi proprio di esserne indegno. Eppure Egli ti aveva scelto, proprio te, e aspettava con trepidazione che tu gli dicessi sì, “eccomi”.
Quello sguardo pieno di misericordia e di fiducia, quello sguardo di Colui che conta su di te, non si è mai allontanato dai tuoi occhi. Ha continuato e continuerà sempre a dirti: coraggio, io ho fiducia in te, se vuoi.
Fratelli presbiteri! Il Signore, che pone su di noi il suo sguardo, ha fiducia in noi.
Dobbiamo dircelo! Non per vanto, per gratificazione, o per motivarci da soli. Ma per rispondere, con gratitudine e responsabilità, al suo amore che sempre ci sorprende.
Oggi abbiamo ancora più bisogno di ricordare a noi stessi la fiducia e la grazia che il Signore ha posto in noi, come in umili vasi di creta. Certo, siamo esposti alla prova e, ringraziando il Signore, non abbiamo facili ripari dietro cui sentirci comodamente al sicuro. Un certo prestigio sociale, un prestito di fiducia da parte della gente, un senso civico di rispetto diffuso nei confronti del “reverendo”: queste illusorie garanzie, che forse in altre generazioni potevano rassicurare il presbitero di godere comunque nel popolo di una certa stima preconcetta, oggi non sono certo più sostenibili, ed è un gran bene che sia così.
Allo stesso tempo, poter godere “di un grande favore” da parte di tutti – come gli apostoli in At 4,33 – è un segno di coerenza con il nostro ministero e con la responsabilità che ci è stata affidata. Ma il favore, la buona reputazione, devono essere sempre il frutto dell’autenticità del nostro essere e del nostro servizio, vissuto con semplicità, coerenza, libertà d’animo, disponibilità, fedeltà, anche con costante sacrificio d’amore.
D’altro lato non c’è dubbio, purtroppo, che ogni cattivo esempio e ogni scandalo prodotti da un singolo presbitero, dopo aver distrutto cuori innocenti, scaricano i loro effetti disastrosi anche sull’immagine stessa del ministro ordinato. E così, nei nostri tempi noi tutti in qualche modo dobbiamo portare anche il peso del disorientamento e dello scandalo che alcuni presbiteri hanno provocato tra la gente. Su questo punto c’è magari chi è pronto a sospirare: “un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce”; ma queste massime, lo sappiamo, non servono sempre al loro scopo. Eppure una parte di verità rimane: quella foresta, comunque tutto, cresce davvero.
Devo prendere atto insieme a voi di questa realtà difficile, ma non è questo il cardine delle riflessioni che vorrei condividervi. Molte volte la nostra attenzione è catturata dal sinistro rumore degli alberi che cadono, oggi vorrei piuttosto soffermarmi con voi sulla foresta che cresce…
“Li amò sino alla fine”.
“Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, lì amò fino alla fine” (Gv 13,1).
La fiducia di Dio è racchiusa nella fedeltà del suo amore! Torniamo insieme alle nostre sorgenti, fratelli cari, e pensiamoci attorno al Signore e alla sua mensa. Egli si alza da tavola, depone le vesti, prende un asciugamano e se lo cinge intorno alla vita. Poi versa dell’acqua nel catino e comincia a lavarci i piedi e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si è cinto… Capisco che non ci sentiamo degni di pensarci così, di immaginare che il Signore Gesù stia lavando i piedi anche a noi. Ma, riflettiamoci, è proprio così, anzi più di così.

Il gesto del servo, che Gesù ha compiuto verso “i suoi”, ha manifestato loro la dignità smisurata e impensabile alla quale il Signore li chiamava: non una dignità di prestigio o di potere, che li ponesse al di sopra di altri fratelli; ma la dignità di essere amati. Sono serviti dal Signore, perché amati.
La dignità immensa, che viene dall’amore divino, sconvolge gli schemi di pensiero umano. Pietro non si ritiene degno, perché non riesce a pensare che Gesù stesso possa chinarsi a lavare i suoi piedi, non concepisce come questo gesto possa in qualche modo conciliarsi con la dignità del Signore.
Eppure il Signore è lì ai suoi piedi e quel suo gesto rivela ai cuori dei discepoli degli orizzonti che li abbagliano e che ancora essi non riescono a scrutare. Per quel gesto, essi stanno per inoltrarsi con Gesù nell’orizzonte del servizio e dell’amore reciproco e verso tutti. Anche loro avranno la missione di ripetere il gesto di Gesù, anche loro dovranno lavarsi i piedi gli uni gli altri, anche loro dovranno amare fino alla fine. Questa sarà la loro altissima dignità: servi, come Gesù, che ha avuto fiducia in loro e per loro prega il Padre. Anche loro potranno seguire Gesù (cf Gv 13,36), anche loro saranno dove è Gesù (cf Gv 14,3): lì, al posto del servo, sulla croce, presso il Padre.
Oggi, fratelli miei presbiteri, siamo anche noi riuniti attorno al Signore ed egli si china verso di noi. Ha fiducia in noi, crediamoci! Anche a noi il Signore dice “siate anche voi dove sono io”. Anche a noi il Signore dona l’altissima dignità di cingerci con l’asciugamano attorno alla vita e di servirci gli uni gli altri.
Questa fiducia che il Signore pone in noi, nessuno potrà togliercela. Le situazioni difficili della storia, le miserie in cui anche noi possiamo cadere, le delusioni e le sconfitte vorrebbero spesso farci rassegnare e convincerci del contrario. No, fratelli, nessuno può toglierci la dignità di amare e servire come pastori, nessuno può privarci della fiducia con cui il Signore ci ha scelti e ci ha amati.
Forse dico questo per tranquillizzarci la coscienza? Capite benissimo che non è così. Anzi, è proprio la fiducia del Signore, posta in noi, che ci rende ancora più coscienti e più responsabili davanti a Lui, alla Chiesa, al mondo, a noi stessi.
Solo la gratitudine piena di stupore, quasi incredula davanti all’immeritata fiducia che il Signore ci ha riservato, ci può rendere allo stesso tempo consapevoli che il dono dello Spirito posto in noi non può e non deve essere trascurato e rinnegato, ma chiede di essere sempre fedelmente vissuto e ravvivato (cf 2Tim 1,6). Invece, non rende servizio allo Spirito di Dio, chi senza misura scoraggia i presbiteri o chi, da presbitero, si lascia irretire dalla sfiducia. La sfiducia soffoca la gratitudine e estingue il desiderio, quello sano, quello che attira alla carità di Cristo. Rianimiamo ogni giorno il fuoco del desiderio, il desiderio di essere amati da Dio e di amare Lui, in Lui, con Lui. Quel desiderio santo che ci raccomandano ancora le attuali e profetiche esortazioni di Santa Caterina da Siena:
«Ora pel tempo presente v’invito a spogliare l’anima vostra d’ogni amore proprio, e vestirla di fame e di virtù reale e vera, a onore di Dio e salute dell’anime. Confortatevi in Cristo Gesù dolce amore: ché tosto vedremo apparire i fiori. Studiate che il gonfalone della croce tosto si levi; e non venga meno il cuore e l’affetto vostro per veruno inconveniente che vedeste venire; ma più allora vi confortate, pensando che Cristo crocifisso sarà il facitore e adempitore degli spasimati desideri dei veri servi di Dio. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso: ponetevi in croce con Cristo crocifisso: nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso: fatevi bagno nel sangue di Cristo crocifisso» (Lettere, 16, ed. P. Misciattelli, Firenze 1939, 47).
Come Chiesa, abbiamo tutti il dovere di prenderci cura della fiducia e della fedeltà dei presbiteri. Anche noi siamo figli, oltre che padri. E come figli anche noi sentiamo il bisogno di essere compresi, incoraggiati, stimati. Non per mera gratificazione ma per tenere sempre viva la coscienza della missione e del dono di Dio che sono in noi. E per questo, proprio come vescovo, sento in prima persona questa alta responsabilità che il Signore mi affida: prendermi cura di voi, anche se io stesso ho bisogno del vostro sostegno; aiutarvi a tirar fuori sempre i vostri bellissimi talenti, le risorse che lo Spirito ha posto in voi, i vostri sentimenti di comunione fraterna, la vostra stima in voi stessi e nel presbiterio; incoraggiarvi a guardare con fiducia le messi che biondeggiano e che attendono voi, ad ammirare con stupore le grandi cose che il Signore continua a fare per il suo popolo anche attraverso di voi.
E credetemi, ve lo dico con il cuore. Non sento questa mia responsabilità verso di voi solo come un dovere ministeriale. La sento perché vi voglio bene, vi voglio davvero bene. E siccome vi voglio bene, sento anche più pressante il dovere ministeriale di apostolo, che mi chiama a prendermi cura di voi.
Vi prego quindi, fratelli, di considerare che, come il Signore ha fiducia in voi e vi esorta sempre alla fedeltà, per amore e per la salvezza delle anime, così anche la Madre Chiesa non vuole mai rinnegare la vostra quotidiana fedeltà e la straordinaria ricchezza della grazia di Dio posta in voi. È carità, ma è anche dovere di giustizia, riconoscervi questo.
E non dobbiamo trascurare tra l’altro che se anche noi, come Chiesa, puntiamo sempre il dito sui presbiteri e non mettiamo in luce la bellezza luminosa del ministero ordinato e i tanti esempi di santità feriale vissuta dai consacrati, come potrà il mondo lasciarsi attrarre dalla Parola che annunciamo, dalla Grazia che portiamo, dalla testimonianza che ci sforziamo di offrire? Come potrà vivere la Chiesa, se in qualche modo offusca la credibilità del ministero presbiterale? Come potranno i giovani, chiamati dal Signore sulle rive del mare di Galilea, lasciare tutto e seguirlo? Come potranno essere attratti dalla vocazione presbiterale?
Quando invece viene fatta risplendere la bellezza del ministero, insieme alla credibilità di tanti presbiteri fedeli, grati e gioiosi, allora ha senz’altro più valore anche il necessario e responsabile richiamo contro le infedeltà e i peccati, le vanità e le trascuratezze che, purtroppo, non ci risparmiano.
Allora, cari fratelli presbiteri, prendiamoci d’animo, respiriamo a pieni polmoni l’aria tersa e primaverile, che lo Spirito di Dio sa sempre rigenerare anche sopra le terre saccheggiate dall’arsura. Anche per noi, viene la primavera dello Spirito!
Lo Spirito di Dio, che ci ha consacrati con l’unzione, viene ogni volta che con umiltà ci riuniamo per invocarlo. Viene quando celebriamo il sacrificio eucaristico con semplicità d’animo, e presentiamo al Signore la nostra umile condizione di peccatori, ma pronti ancora ad andare nel suo nome. Viene, lo Spirito, quando andiamo incontro alla gente, senza esitazione, senza aspettative mondane, gioiosi di portare la misericordia del Padre. Viene quando tra di noi, nel nostro presbiterio, cerchiamo rapporti autentici, non artefatti da schemi preordinati, non ispirati a modelli di perfezione inesistenti, ma semplicemente umani, fraterni. Viene, lo Spirito di Dio, quando ci consegniamo con arrendevolezza alla premura materna della Vergine Maria.
Permettetemi di soffermarmi su due parole, che ho appena impiegato insieme alle altre: gioia e autenticità; gioiosi e autentici. Credo che in questo binomio ci sia un criterio eloquente per capire se stiamo davvero corrispondendo alla fiducia di Dio.
La sfiducia pian piano può penetrare asintomatica e silenziosa nel tessuto della nostra umanità e della nostra spiritualità. Si comincia con la sfiducia nei confratelli o nella Chiesa o nella comunità; poi si passa alla sfiducia in sé e nel domani; e senza accorgersene si arriva a perdere la fiducia in Dio e nella preghiera. Eppure la fiducia di Dio verso di noi non si arrende. Ma c’è una qualità dello spirito che subito ne risente e, appena comincia a ingiallirsi, ci rivela che la sfiducia sta tentando di infettare il cuore: è proprio la gioia. La gioia è la prima sentinella: se appassisce, quello è il segnale d’allarme. Ma, all’inverso, sono sicuro che proprio la gioia è la prima barriera alla sfiducia. Non lasciamoci strappare via la gioia di essere presbiteri!
Non parlo della gioia come allegria o spensieratezza, e nemmeno come euforia momentanea, il cosiddetto “fuoco di paglia”, di cui la nostra gente semplice e saggia diffida, non si tratta tanto meno di assumere una maschera artificiale. Parlo della gioia come pienezza del cuore. Quella che si riceve ogni giorno rimanendo semplicemente noi stessi, esseri umani illuminati interiormente dalla luce di chi si è fatto uomo per noi, da quel Gesù che ci ha voluto suoi collaboratori, e pertanto presbiteri, immensamente grati a Lui e ai fratelli. Come tale il presbitero riesce ad essere gioioso quando ha la fiducia e la convinzione – entrambi aspetti ai quali il brano iniziale di Paolo richiama con il termine pepoíthēsis – di essere pienamente se stesso. Quando cerca nel cuore di Cristo la fonte del proprio essere se stesso e della cura di sé. Quando non cerca altro che amare ciò che Cristo ama. Quando spera solo di annunciare, curare, pregare, camminare, insegnare, testimoniare, stare con gli altri, offrire, soffrire, generare alla fede, vivere come Cristo gli chiede di fare. Quando ardentemente desidera di essere e vivere ciò che il cuore di Dio ha posto in lui, quando lo ha inserito nell’orizzonte del grande sogno della Chiesa.
Questa è pienezza, questa è fiducia, questa è gioia! A volte si raffredda questa gioia di cercare Cristo, è vero, e di cercare noi stessi in Lui. Ma possiamo chiedergliela: «Ho bisogno di essere attirato, Signore, perché in me si è raffreddato il fuoco del tuo amore e a causa di questo freddo non riesco più a correre come facevo un tempo. Ma riuscirò a correre quando tu mi avrai ridonato la gioia della salvezza; quando il sole di giustizia sarà più caldo e sarà passata la nube della tentazione, che ogni tanto adesso lo oscura, allora tornerà pure il tempo più mite della grazia» (M. Semeraro, Custodiamo il nostro desiderio, Albano Laziale 2017, 63-64).
L’altra parola è “autenticità”, e vorrei applicarla in particolare ai rapporti tra noi nel presbiterio. Non cerchiamo rapporti più autentici se applichiamo solo dei protocolli: nel parlare tra noi, nel pregare insieme, nel perdonarci… Queste cose non si fanno per protocollo imposto. L’autenticità del parlare, del pregare, del perdonare, del relazionarsi, dell’essere, viene dalla verità e dalla carità. Forse basta poco per essere autentici con i fratelli. Occorre che ognuno pensi se stesso e i propri fratelli presbiteri nel modo in cui Gesù stesso ci ha pensati: con l’asciugamano cinto ai fianchi. La condizione per essere autentici è vivere in costanze servizio la nostra vocazione: senza pretese perché ricchi dell’amore gratuito di un Dio follemente innamorato della nostra umanità.
Possiamo essere servi gli uni degli altri? Possiamo essere a servizio di questo mondo in cui il Signore ci invita a gettare le reti? Possiamo essere gioiosi di seguirlo?
Lo possiamo, perché Egli ha riposto in noi, proprio in noi la sua fiducia.

Cassano all’Jonio, 5 Aprile 2023
Mercoledì Santo
Vostro Vescovo 

  Francesco

[button text=”scarica il formato pdf” url=”https://www.diocesicassanoalloionio.it/diocesi-cassano-jonio/wp-content/uploads/2023/04/lettera-presbiteri-impaginata-23-completa.pdf” size=”medium” type=”success” icon=”download” iconcolor=”white” target=”_blank”]

05-04-2023
condividi su