Festa di San Giovanni Apostolo ed Evangelista
1 Gv 1,1-4; Sal 96; Gv 20,2-8
Ordinazione presbiterale di
don Roberto Di Lorenzo
27Dicembre2022
Siamo nel pieno della gioia del Natale in cui sentiamo risuonare l’annuncio rivoluzionario e sconvolgente della vicinanza di Dio alla nostra vita quotidiana: il Verbo si è fatto carne.
L’Eterno è entrato nel tempo e ha così santificato il tempo; l’Eterno si è fatto carne e ha santificato la carne, la nostra carne; l’umano è dunque la dimora di Dio. La gioia della nascita di Gesù prosegue lungo tutta questa settimana e la grandezza di questo evento chiede almeno otto giorni per poter essere gustata e celebrata.
Se attraverso la figura di Santo Stefano protomartire celebrata ieri abbiamo preso coscienza del carattere drammatico del Natale, infatti l’incarnazione chiede testimonianza radicale fino al dono della propria vita, oggi la liturgia ci porta a contemplare San Giovanni Apostolo ed Evangelista le cui parole e la sua personale esperienza ci aiutano ad abitare ed approfondire il “mistero del Natale”.
Il cardinale Ravasi sostiene: “Dell’apostolo Giovanni (nome ebraico che significa “Il Signore dona la sua grazia”) è nota nei Vangeli la famiglia: suo padre era Zebedeo, suo fratello l’apostolo Giacomo; di professione era pescatore, o forse membro di una società familiare di pesca a cui probabilmente collaboravano anche altri due fratelli, gli apostoli Simone Pietro e Andrea. La sua vocazione era appunto avvenuta nell’ambiente di lavoro e da quel momento Giovanni era stato cooptato da Gesù nel gruppo ristretto dei tre testimoni privilegiati comprendente anche Pietro e Giacomo. Sono loro ad assistere in esclusiva alla risurrezione della figlia di Giairo, alla trasfigurazione, alla preghiera del Getsemani”.
L’apostolo ed evangelista Giovanni con il fratello Giacomo erano anche chiamati i “figli del tuono” per il loro carattere passionale e il profondo amore per Gesù.
La Parola di Dio ascoltata ci parla del cuore innamorato di Giovanni per Gesù e per il mistero della sua vita.
Immergendoci nella realtà del cuore di Giovanni possiamo con convinzione dire che o il Natale ci trova innamorati di Gesù oppure il nostro Natale è superficiale, banale e forse anche inutile.
Dal cuore innamorato di Giovanni abbiamo ascoltato: “… Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il verbo della vita … noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (cfr. Prima Lettura).
Sono veramente belle queste parole che ci fanno comprendere l’incontro reale di Giovanni con Gesù che gli ha cambiato profondamente la vita. Giovanni è rimasto coinvolto completamente dal mistero del Natale! È entrato dentro il mistero che ha lasciato nel suo cuore e nella sua vita tracce indelebili. Domandiamoci, pensando a Giovanni, fino a che punto noi siamo rimasti coinvolti dal mistero del Natale e che cosa è cambiato realmente nella nostra esistenza. Se non è cambiato nulla allora evidentemente siamo stati spettatori del mistero, forse contenti ma distratti. Pensando all’amore che ha provato Giovanni incontrando Gesù domandiamoci questa sera: come stiamo noi amando? Perché in ultima analisi coinvolgimento e cambiamento significano esattamente amare.
Alcune domande si impongono: Quanto amiamo Gesù? Quanto lasciamo che cambi la nostra vita? Quanto abbiamo lasciato che ci cambi la vita? L’evangelista e apostolo Giovanni conclude il brano della Prima Lettura parlando di una “gioia perfetta”. La gioia è la nota caratteristica di chi ha fatto l’esperienza di sentirsi abbracciato da Gesù nell’incontro con la Sua persona. Il Natale è un momento di grazia e di contemplazione, di gioia e di movimento del cuore che si mette in cammino per amare la realtà e le persone che si incontrano. Amare Gesù non è un fatto di parole ma un’esperienza di amore reale e concreta. E se tutto questo non si realizza nel Natale allora il Natale è frustrante e purtroppo diventa un’esperienza abortiva.
Il Vangelo di Giovanni proclamato in questa Liturgia rafforza l’esperienza che l’evangelista ha vissuto nel mattino di Pasqua.
Giovanni sottolinea che arriva per primo. L’amore sottolinea la precedenza e vuole mettere in evidenza che nessuno è stato svelto come lui. L’amore precede sempre!
Giovanni ci racconta la sua esperienza di amore che in quella corsa al sepolcro di Gesù, trovato vuoto quel mattino di Pasqua, Egli sottolinea che ha voluto arrivare prima, che ha amato di più, che ha voluto donare tutto.
Lasciamoci coinvolgere da questo amore di Gesù chiedendo a noi stessi di avere il desiderio di arrivare primi, primi nell’amore, nel dono, nello spendersi senza misura.
Che bellissima coincidenza tra la festa di San Giovanni Apostolo ed Evangelista e la tua ordinazione al presbiterato, caro Roberto.
Lasciati sedurre ogni giorno da questo amore senza limiti e appassionato di Gesù cercando anche tu nella vita di arrivare e testimoniare per primo questo Amore di Gesù che ti ha chiamato e ti ha convinto a seguirlo fino al sacerdozio ministeriale.
La tua, caro Roberto, è stata una vocazione non sempre facile ma tu ci hai sempre creduto, ci hai convinto tutti, il Rettore, gli educatori, il tuo parroco don Ciccio, la tua comunità, i sacerdoti che hai incontrato e soprattutto il presbitero del cuore, che ti è stato sempre accanto, incoraggiandoti e sostenendoti, don Nunzio Laitano.
Ringrazio veramente tutti!
Ti consegno con sobrietà ma con tanto affetto e stima due pensieri che desidero che siano scolpiti nel tuo cuore.
Il primo: non puoi farcela da solo (Es 18, 19). Lo dico a te, a tutti i confratelli sacerdoti e anche a me. Da soli non possiamo farcela! Puoi anche tentare ma rischierai di crollare. Anche Mosè all’inizio pensava di potercela fare da solo ma la sua disponibilità all’ascolto e la sua umiltà lo portarono ad accogliere il consiglio buono del suocero.
San Giovanni Paolo II nella “Pastores dabo vobis” al n.17 così afferma: “Il ministero ordinato, in forza della sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il presbitero è unito con Cristo mediante l’inserimento sacramentale nell’ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione gerarchica con il proprio vescovo. Il ministero ordinato ha una radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo come “un’opera collettiva”.
Il prete è innestato a Cristo e alla Chiesa, e nella Chiesa al Vescovo e a tutti coloro che appartengono all’ordine dei presbiteri, ordo presbyterorum, in una fraternità sacramentale che precede e supera quella del sangue e quella dell’amicizia. La fraternità presbiterale è indissolubile e, se vissuta, permette di vivere la missione.
Dalla communio la missio! Questa sera, caro Roberto, la tua famiglia è il presbiterio.
“Tutti i presbiteri costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio Vescovo… Pertanto, ciascuno è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità…” (PO 8).
Ma se è vero che la tua famiglia diventa il presbiterio, non posso non ringraziare i tuoi genitori che sono in cielo, Nunziato e Carmela, avendo incontrato sorella morte corporale, le quattro sorelle e i due fratelli.
Il secondo pensiero lo esprimo con le parole dell’apostolo Paolo: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1, 22). Il prete non è un caporale né un caporione, è servo e collaboratore della gioia di ogni persona che incontra e di ogni persona affidata alla sua cura pastorale.
Papa Francesco ci ricorda che questo “servizio della gioia” non può che radicarsi nel dialogo con il Padre nel Figlio nella grazia dello Spirito, in una parola nella preghiera assidua e innamorata (cfr. Francesco, Discorso alla 36°Congregazione generale della Compagnia di Gesù, 24/10/2016).
L’augurio più bello che posso rivolgerti, caro Roberto, è che il tuo cuore sia sempre più innamorato e appassionato di Gesù, come il cuore di San Giovanni Evangelista e Apostolo, di cui oggi come Chiesa abbiamo fatto memoria. Tra l’altro lo sostiene anche sant’Agostino quando parla del ministero sacerdotale come “Amoris officium”, compito e dovere di amore, cioè sia compito e dovere di amore pascere il gregge del Signore.
Allarga il tuo cuore, caro Roberto, allarga gli spazi della carità!
✠ Francesco Savino
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