“PARTECIPAZIONE E DEMOCRAZIA NELL’IMPRESA”: PER UN NUOVO UMANESIMO AZIENDALE

IN CAMMINO VERSO LA 50ª EDIZIONE DELLE SETTIMANE SOCIALI DEI CATTOLICI ITALIANI .

29-06-2024

 

  1. “Impresa: società di persona, non solo società di capitali” (cfr. G.P. II)

Questo potrebbe essere un ipotetico titolo per una relazione/intervento che tenga insieme questi due riferimenti: partecipazione e democrazia nell’impresa.

Partecipazione e democrazia all’interno di una impresa, sono obiettivi realizzabili nella misura in cui l’azienda è pensata, costruita e connotata come una “società di persone”, non solo come “società di capitali”. “Società di persone” indica una prospettiva aziendale (non aziendalistica!), con un profilo personalista e comunitario. In questi stessi termini parlò anche Giovanni Paolo II dell’impresa: «Non può essere considerata solo come una “società di capitali”; essa è, al tempo stesso, una “società di persone”, di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro» (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus 1991, n. 43). La prestazione lavorativa, dunque, non è da intendere come una mera esecuzione materiale e dunque come una collaborazione passiva, bensì come la necessità di una vera e propria partecipazione attiva da parte dei lavoratori alla generazione dei valori aziendali. Un percorso aziendale in questi termini sollecita a “tendere ad un’etica che vada oltre la semplice deontologia professionale” (Benedetto XVI, Udienza UCID, 4 marzo 2006).

  1. Gerarchizzazione degli obiettivi economici

Partecipazione e democrazia nell’impresa sono risultati raggiungibili nella misura in cui vi è una gerarchizzazione degli obiettivi all’interno di una azienda perché non ci sono solo gli obiettivi economici, ma anche quelli sociali e morali, da perseguire congiuntamente. L’attività imprenditoriale è un servizio che pur seguendo le leggi del mercato, le regole del profitto e degli affari, non può (ri)piegarsi esclusivamente a queste logiche.

Per questo è giusto sottolineare una giusta funzione del profitto: quando un’azienda produce profitto vuol dire che i fattori produttivi sono stati adeguatamente investiti. Ma il legittimo perseguimento del profitto, deve essere armonizzato con l’irrinunciabile tutela della dignità delle persone che a vario titolo operano nella stessa impresa. Dunque è possibile pensare un’impresa come comunità solidale che è raggiungibile se coesistono due esigenze: A) da una parte non sarebbe realistico pensare di garantire il futuro dell’impresa senza la produzione di beni e servizi, e senza conseguire profitti che siano il frutto dell’attività economica svolta; B) d’altra parte, consentendo alla persona che lavora di crescere, si favorisce una maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso.

La gerarchizzazione degli obiettivi economici implica la necessità di bilanciare il profitto con altre priorità, come il benessere dei dipendenti e la responsabilità sociale. Secondo Amartya Sen, nel suo libro “Development as Freedom” (1999), lo sviluppo economico deve essere visto come un mezzo per raggiungere fini più elevati, come la libertà e la capacità individuale. Le imprese devono quindi adottare una prospettiva che vada oltre il mero profitto, integrando obiettivi sociali e umani.

La reciprocità, di cui parla ad esempio Polanyi, è la relazione tra comunità (come ha messo bene in luce Summer Maine [1861] con la sua teoria delle società antiche), non quella intracomunitaria. Pensiamo, per un esempio, alla Roma antica: tra i patres familias che componevano la comunità romana c’erano rapporti di reciprocità basati su una certa uguaglianza; ma all’interno delle singole famiglie, il principio fondativo non era certo la reciprocità, ma la gerarchia. Realtà analoga quella greca, dove la democrazia nella polis era certo esperienza di philia, di reciprocità tra i cittadini (maschi, adulti, liberi, non artigiani né contadini, ecc.); ma la philia non era certo l’esperienza all’interno dell’oikos, che era regolata dallo status e dalla gerarchia. E potremmo continuare con le altre culture del mondo antico, fino a dentro la modernità: si pensi, per un esempio, alla polemica di metà Ottocento del milanese Carlo Cattaneo contro una democrazia basata sull’uguaglianza di padri di famiglia, che erano a loro volta a capo di comunità gerarchiche e ineguali: che tipo di democrazia, diceva, è quella di un sistema basato sul l’uguaglianza tra capi di comunità ineguali? Esiste dunque una radicale differenza tra la comunità antica e la comunità non antica. C’è, in altre parole, una radicale diversità tra la comunità prima della nascita dell’individuo (che chiamo sacrale) e la comunità dopo questo parto tipico della modernità. L’analisi, ad esempio, affascinante e ormai essenziale di Roberto Esposito sulla communitas, è tutta declinata sull’ambivalenza della comunità moderna, la comunità degli individui. Nella comunità-prima- dell’individuo, la comunità non «è la più estrema delle sue possibilità» (nelle parole di Esposito), semplicemente perché il “soggetto” della comunità non sceglie nulla, non “sperimenta” alcuna possibilità; e semplicemente perché nella comunità antica l’individuo non c’è, o quanto meno non è “visto” da quella cultura. (Zamagni, Bruni Dizionario di Economia Civile)

  1. Sharing economy

L’art. 46 della Costituzione cita testualmente: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Questo articolo della Costituzione prende forma e concretezza in un paradigma economico (non economicistico!), che potremmo definire sharing economy (“l’era dell’economia della condivisione”).

Una maggiore implementazione della democrazia e della partecipazione in azienda, consentirebbero di revisionare (ed eventualmente superare del tutto o almeno in parte), quel modello conflittuale su cui si reggono, ancora oggi, tantissime relazioni industriali e così provare a riallineare e rimettere in asse quella forte asimmetria che spesso vige a favore del potere direttivo rispetto al dovere di collaborazione, dunque di partecipazione attiva del complesso nucleo operativo.

La sharing economy rappresenta un modello economico che enfatizza la condivisione di risorse e competenze, promuovendo una maggiore collaborazione e partecipazione all’interno delle comunità aziendali. Questo approccio si fonda sull’idea che l’accesso alle risorse possa essere più vantaggioso rispetto alla loro proprietà esclusiva. Rachel Botsman e Roo Rogers, nel loro libro “What’s Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption” (2010), illustrano come la sharing economy possa trasformare le relazioni economiche, rendendole più sostenibili e inclusive.

 

Trasformazione delle Relazioni Economiche

  1. Riduzione degli Sprechi: La sharing economy permette di ridurre gli sprechi attraverso la condivisione di beni e servizi. Ad esempio, piattaforme come Airbnb consentono di utilizzare spazi abitativi inutilizzati, mentre servizi come Uber ottimizzano l’uso dei veicoli privati. Questo modello riduce la necessità di produzione di nuovi beni, contribuendo alla sostenibilità ambientale.
  2. Accessibilità Economica: La condivisione delle risorse rende accessibili beni e servizi a un costo inferiore rispetto all’acquisto. Questo è particolarmente vantaggioso per le persone con limitate risorse finanziarie, permettendo loro di accedere a beni e servizi di alta qualità senza la necessità di un investimento significativo.
  3. Empowerment delle Comunità: La sharing economy facilita la creazione di reti comunitarie, rafforzando i legami sociali. Le piattaforme di condivisione spesso includono elementi di valutazione e feedback, che promuovono la fiducia e la cooperazione tra gli utenti. Questo crea un senso di appartenenza e responsabilità reciproca, migliorando il capitale sociale delle comunità.
  4. Innovazione e Crescita Sostenibile: La sharing economy incoraggia l’innovazione attraverso l’utilizzo di piattaforme digitali che facilitano la condivisione e la collaborazione. Questo modello promuove l’emergere di nuove idee e soluzioni creative, che possono portare a una crescita economica sostenibile. La tecnologia svolge un ruolo cruciale, abilitando la condivisione in modo efficiente e scalabile.
  5. Inclusione Sociale: La sharing economy può contribuire all’inclusione sociale, offrendo opportunità a gruppi marginalizzati. Ad esempio, persone con disabilità o anziani possono trovare servizi di trasporto o assistenza più facilmente accessibili. Inoltre, la possibilità di lavorare come freelance o fornire servizi tramite piattaforme digitali apre nuove opportunità di lavoro per chi è escluso dai mercati del lavoro tradizionali.

 

Impatti sulla Sostenibilità

  1. Ambiente: La riduzione della necessità di produzione di nuovi beni e l’ottimizzazione delle risorse esistenti diminuiscono l’impatto ambientale. Meno produzione significa meno estrazione di materie prime, meno energia consumata e meno rifiuti prodotti.
  2. Economia: La sharing economy può stimolare la crescita economica attraverso la creazione di nuovi mercati e opportunità di business. Inoltre, migliora l’efficienza economica consentendo un utilizzo più intensivo delle risorse esistenti.
  3. Società: Favorendo l’accesso piuttosto che la proprietà, la sharing economy promuove una cultura di consumo più consapevole e responsabile. Questo può portare a un cambiamento nei valori sociali, spostando l’attenzione dal possesso di beni materiali alla condivisione e alla collaborazione.

 

  1. Cum-petere

La conflittualità è un elemento da superare per il bene di un’impresa e ciò è reso possibile se i componenti della stessa consapevolizzano che la comunità nella quale operano rappresenta un bene per tutti e non una struttura ermetica che permette di soddisfare esclusivamente gli interessi individuali di qualcuno (il capo) a spese di altri (gli occupati). Tra imprenditore e operai deve esserci competizione… ma considerata nell’autentica accezione: cum-petere, cercare insieme le soluzioni più adeguate, per rispondere nel modo più idoneo ai bisogni che man mano emergono (CDSC, n. 343). Questo è possibile quando partecipazione e democrazia sono due direttrici imprescindibili della governance dell’impresa, così da superare le tante e diverse forme di disintermediazione che inevitabilmente si insinuano nelle relazioni personali e quindi lavorative di un’azienda.

 

  1. Partecipazione e democrazia: governance delle aziende longeve

Una interessante analogia con quanto stiamo dicendo, la possiamo trarre da quanto disse Papa Francesco ai partecipanti al III Incontro mondiale dei Movimenti popolari: «La democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino» (5 novembre 2016). Lo stesso accade anche in ambito aziendale: lasciando fuori dalla conduzione dell’azienda, il “popolo del lavoro”, si determina non solo una atrofia della democrazia e della partecipazione, ma anche una perdita della rappresentatività che provoca a lungo termine, una atrofizzazione dell’impresa. Invece, nelle aziende in cui questi due ingredienti ci sono, si osserva un salto di qualità non indifferente e così accade che “quando c’è da scegliere tra l’uomo e le cose, si sceglie l’uomo” (cfr. Card. Siri che grande importanza ha avuto nella fondazione della realtà UCID e nella consulenza nazionale). Ma tutto questo è reso possibile quando il vero progresso, l’impegno produttivo e i criteri distributivi di un’azienda, sono orientati da chiari principi etici e morali.

 

Partecipazione e Democrazia: Governance delle Aziende Longeve

Nell’ambito della governance delle aziende longeve, la partecipazione e la democrazia giocano un ruolo cruciale non solo nel migliorare la rappresentatività e la vitalità democratica, ma anche nel favorire la sostenibilità e il successo a lungo termine delle organizzazioni. Papa Francesco, nel suo discorso al III Incontro mondiale dei Movimenti popolari, ha sottolineato come la democrazia rischia di perdere significato e efficacia quando non include il popolo nella costruzione del proprio destino e nella lotta quotidiana per la dignità.

 

Atrofia della Democrazia Aziendale e Perdita di Rappresentatività

Nel contesto aziendale, escludere il “popolo del lavoro” dalla governance può portare a una serie di conseguenze negative. Come sottolineato da Papa Francesco, l’atrofia della democrazia aziendale e la perdita di rappresentatività si traducono in decisioni distanti dalle reali esigenze e prospettive dei dipendenti. Questo non solo compromette la coesione interna e il senso di appartenenza, ma può anche limitare la capacità dell’azienda di adattarsi ai cambiamenti e di innovare.

 

Importanza della Partecipazione e della Democrazia

  1. Efficacia Organizzativa: Gli studi dimostrano che le aziende che incorporano meccanismi di partecipazione dei dipendenti nella governance tendono a essere più resilienti e innovative. Un coinvolgimento attivo dei dipendenti nella gestione aziendale non solo migliora la soddisfazione sul lavoro, ma può anche portare a una maggiore efficienza e adattabilità dell’organizzazione.
  2. Sostenibilità Economica e Sociale: La partecipazione dei dipendenti non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di sostenibilità economica a lungo termine. Le aziende che integrano i principi della partecipazione e della democrazia nelle loro pratiche di governance tendono a prendere decisioni più equilibrate e orientate al lungo periodo, riducendo il rischio di conflitti interni e migliorando la loro reputazione nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa (Aguilera et al., 2007).

 

Principi Etici e Morali nella Governance Aziendale

L’adozione di chiari principi etici e morali nella governance aziendale è fondamentale per garantire che il progresso e la distribuzione dei risultati siano equi e sostenibili nel tempo. Come evidenziato da diverse fonti, tra cui il Cardinale Siri, la scelta dell’umanità rispetto al mero perseguimento del profitto materiale rappresenta un pilastro per una gestione aziendale responsabile e eticamente orientata.

In conclusione, la partecipazione e la democrazia non sono solo concetti teorici, ma pilastri fondamentali per il successo delle aziende longeve. Incorporare questi principi nella governance aziendale non solo rafforza la democrazia interna e la rappresentatività, ma promuove anche una cultura organizzativa che valorizza il contributo individuale e collettivo dei dipendenti. Questo approccio non solo migliora le performance aziendali, ma contribuisce anche al benessere e alla soddisfazione dei lavoratori, favorendo un ambiente di lavoro più inclusivo, equo e sostenibile.

 

  1. Partecipazione e democrazia: per una migliore funzione sociale dell’impresa

Partecipazione e democrazia sono due elementi essenziali affinché l’impresa “servi, sempre più e sempre meglio, il bene comune della società” (n. CDSC, 338), ma rappresentano anche i due pilastri fondamentali che aiutano l’impresa nella funzione sociale perché solo così è possibile “creare opportunità d’incontro, di collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte” (ivi).
In tal senso non di rado accade che i modelli partecipativi e democratici dei lavoratori all’impresa, diventano sempre una grande risorsa, non solo nei casi estremi in cui occorre salvare l’azienda stessa. Come nel caso specifico del cosiddetto workes buy-out (“riscatto da parte dei lavoratori), ovvero l’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà con specifiche modalità. Studi alla mano dimostrano che tra il 2011 e 2021, Cooperazione Finanza e Impresa (CFI), che è una partecipata dal Ministero dello Sviluppo Economico, ha sostenuto 88 casi di workes buy out, per un totale di 2.286 lavoratori salvati; solo nel 2022 – con la crisi del Covid-19 – sono state sostenute 31 cooperative e 1.630 lavoratori con 20,1 milioni di euro, il 48% a sostegno dei workes buy out. Buone prassi che dimostrano come quando c’è partecipazione e democrazia si possono raggiungere non solo risultati ottimi ma anche “utili”. Il contributo potenziale della partecipazione e della democratizzazione delle organizzazioni economiche, anche solo in termini di performance, al di là di ulteriori considerazioni etiche, può essere significativo.

(…) Lungo questo continuum, si muove anche la categoria politica della partecipazione. Ma il passo in avanti appare netto: la partecipazione intro- duce una più ristretta e impegnativa modalità di appartenenza, che fa riferimento non solo all’“essere parte” di un ordine politico-giuridico, ma anche al “prendere parte” ad esso in vista del bene comune (Raniolo 2008). Per partecipazione va inteso l’insieme delle possibilità del cittadino di influire sui processi di deliberazione politica e sui loro esiti; molto più, quindi, di un occasionale recarsi ai seggi o di una passiva operazio- ne di consultazione promossa dai decisori. In effetti, le riforme intervenute nelle pubbliche amministrazioni sono andate modificando il tradizionale modello di sovraordinazione, per riconoscere ai cittadini, singoli o associati, un vero e proprio ruolo di collaborazione nei procedimenti, integrando le competenze tecniche delle amministrazioni (Arena 2006).

Se il principio di democrazia partecipativa è divenuto uno degli snodi attorno a cui si impernia la qualità della democrazia, le risorse della cittadinanza debbono innervare in modo molto più diffuso e dinamico i luoghi decisionali pubblici. Per questo la scelta della partecipazione sostiene un numero sempre più ampio di pratiche di democrazia locale, luoghi di “cittadinanza attiva”, da cui dipende l’attivazione sul territo- rio di una infrastruttura sociale insostituibile, plurale e ricca di capacità innovative.”[1]

 

  1. Partecipazione e democrazia: per una creatività responsabile dell’impresa

All’impresa, la DSC attribuisce la dimensione della creatività “elemento essenziale dell’agire umano, anche in campo imprenditoriale” (CDSC, n. 336), e a questa dimensione corrisponde anche la diversa modulazione con quale un’impresa stabilisce le condizioni per poter essere sempre più e sempre meglio partecipativa e democratica.

Convenzionalmente esistono almeno 4 differenti tipologie di possibile partecipazione dei lavoratori all’azienda: quella più classica, di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza di lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda; quella basica, di tipo “informativa/consultiva che può essere considerato come il diritto dei lavoratori alla conoscenza dei piani aziendali; quella “intermedia”, che mira a far partecipare i lavoratori dei risultati e del benessere dell’azienda promuovendo parziale redistribuzione degli utili aziendali e poi quella di tipo “avanzata” con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano.

Le aziende longeve sono spesso caratterizzate da pratiche di governance che promuovono la partecipazione attiva dei dipendenti e la democrazia interna. Questo approccio non solo migliora il senso di appartenenza e responsabilità tra i lavoratori, ma contribuisce anche alla resilienza e all’innovazione dell’organizzazione. Henry Mintzberg, nel suo libro Managers Not MBAs (2004), argomenta che le organizzazioni che favoriscono la partecipazione dei dipendenti tendono ad essere più sostenibili e innovative. Questo perché la partecipazione attiva permette ai lavoratori di contribuire con le loro idee e competenze, creando un ambiente di lavoro più dinamico e adattabile.

 

Principi di Governance Partecipativa

  1. Inclusione nelle Decisioni: La governance partecipativa implica che i dipendenti siano coinvolti nei processi decisionali a vari livelli. Questo può avvenire attraverso strutture come i comitati consultivi, i consigli dei dipendenti e le assemblee aziendali. Mintzberg sottolinea che “le organizzazioni devono passare dalla ‘gerarchia’ alla ‘reticolare’, dove le decisioni sono prese in modo più collaborativo” (Mintzberg, 2004, p. 163).
  2. Trasparenza: La trasparenza nelle decisioni aziendali è cruciale per costruire fiducia e promuovere la partecipazione. Secondo uno studio di Grossman e Adams (2004), le aziende che praticano la trasparenza tendono ad avere dipendenti più motivati e impegnati, contribuendo alla longevità dell’impresa.
  3. Responsabilità Condivisa: La partecipazione attiva dei dipendenti favorisce una distribuzione più equa delle responsabilità, che a sua volta migliora l’efficacia organizzativa. Freeman (1984), nella sua teoria degli stakeholder, argomenta che coinvolgere attivamente i vari portatori di interesse, inclusi i dipendenti, porta a decisioni migliori e a una maggiore sostenibilità dell’impresa.

 

  1. Partecipazione e democrazia: moltiplicatori di bene sociale per la governance dell’impresa

Partecipazione e democrazia, sono dei moltiplicatori sociali importanti per consolidare una comunità aziendale il cui gruppo di lavoro deve basarsi su: “diligenza, laboriosità, prudenza nell’assumere i ragionevoli rischi, affidabilità e fedeltà nei rapporti interpersonali, fortezza nell’esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell’azienda” (CDSC 343).

La partecipazione e la democrazia all’interno delle imprese non solo migliorano la governance aziendale, ma fungono anche da moltiplicatori di bene sociale, creando un impatto positivo sulla comunità. Stefano Zamagni, nel suo libro Economia Civile (2010), evidenzia come un approccio partecipativo possa trasformare le imprese in attori chiave per lo sviluppo sostenibile e il benessere collettivo.

Moltiplicatori di Bene Sociale

La partecipazione e la democrazia aziendale promuovono un ambiente di lavoro più equo e inclusivo, che a sua volta si riflette positivamente sulla società. Ecco come questi principi possono agire come moltiplicatori di bene sociale:

  1. Inclusione Sociale e Uguaglianza: La partecipazione attiva dei dipendenti garantisce che le voci di tutti i membri dell’organizzazione siano ascoltate e considerate nelle decisioni aziendali. Questo porta a una maggiore uguaglianza all’interno dell’azienda e nella comunità. Zamagni argomenta che “le imprese che adottano pratiche inclusive contribuiscono a ridurre le disuguaglianze sociali e a promuovere la coesione sociale” (Zamagni, 2010, p. 112).
  2. Responsabilità Sociale e Ambientale: Le aziende democratiche tendono a essere più responsabili dal punto di vista sociale e ambientale. I dipendenti, quando coinvolti nei processi decisionali, sono più propensi a sostenere politiche che favoriscono la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente. Questo è supportato da studi come quello di Aguilera et al. (2007), che mostrano una correlazione positiva tra governance partecipativa e pratiche di responsabilità sociale aziendale.
  3. Innovazione e Crescita Sostenibile: La partecipazione dei dipendenti stimola l’innovazione, poiché diverse prospettive e idee vengono integrate nei processi aziendali. Secondo Freeman e Reed (1983), le aziende che adottano una governance inclusiva sono più capaci di adattarsi ai cambiamenti e di prosperare nel lungo termine.

Per implementare un nuovo umanesimo aziendale, le organizzazioni possono seguire alcune linee guida pratiche:

  1. Promuovere la Partecipazione Attiva: Creare strutture e meccanismi che permettano ai dipendenti di partecipare attivamente ai processi decisionali. Questo può includere la formazione di comitati consultivi, assemblee aziendali e programmi di feedback continuo.
  2. Focalizzarsi sulla Trasparenza: Assicurare che le decisioni aziendali siano prese in modo trasparente, comunicando chiaramente gli obiettivi e le strategie aziendali a tutti i livelli dell’organizzazione.
  3. Investire nella Formazione: Offrire opportunità di formazione e sviluppo professionale per i dipendenti, valorizzando le loro competenze e promuovendo un ambiente di apprendimento continuo.
  4. Adottare Pratiche di Responsabilità Sociale: Implementare politiche di responsabilità sociale che promuovano il benessere dei dipendenti, delle loro famiglie e delle comunità locali. Questo può includere iniziative di sostenibilità ambientale, programmi di volontariato aziendale e supporto a cause sociali.

   Francesco Savino

    Vescovo di Cassano all’Jonio

                             Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana

 

 

[1] Stefano Zamagni, Luigino Bruni – Dizionario di economia civile

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